Mundin assunse l'aria di chi sa molte cose.
«Non vogliamo essere avidi, signor Hubble,» disse, domandandosi nel frattempo di che cosa diavolo stesse parlando. «Presumendo che io non sia un imbroglione, e che questo documento non sia falsificato, le piacerebbe fare parte del consiglio di amministrazione?»
«Moltissimo,» disse Hubble, semplicemente.
«Possiamo farla entrare nel consiglio.» Mundin lo studiò. «Dovrebbe essere ovvio, signor Hubble. Il nostro venticinque per cento, più il suo...?»
«È agli atti. Cinque e mezzo per cento.»
«Tanto?»
«Tanto. Voto per la famiglia.»
Mundin fece un rapido calcolo mentale. Trenta e mezzo per cento. Potevano arruolare Hubble, e poi, se fossero riusciti a impadronirsi di un altro venti per cento...
Guardò davanti a sé. Era meglio che Hubble riflettesse, per un po' di tempo.
I verbali furono dati per letti, con un mormorio annoiato. Uno dei nuovi arrivati sorrise:
«E, ora, signori, al lavoro. Per cominciare, elezione di un membro del consiglio, per rimpiazzare il signor Fenelly.»
Qualcuno propose il signor Harry S. Wilcox, il Titano dalla vena pulsante nella tempia. Qualcun altro propose un certo signor Benyon, e le candidature vennero chiuse. Alcuni segretari si mossero tra gli azionisti con le schede, che essi consegnarono dopo avere ispezionato brevemente e con deferenti sorrisi i certificati azionari e le procure in possesso di ognuno. Mundin, gentilmente, presentò al segretario la sua unica azione, e l'uomo, inorridito, gli diede la sua scheda come se fosse stato vicino a un lebbroso.
Wilcox vinse, e vi fu un applauso formale, e manate sulla schiena. Da certi larghi sorrisi, Mundin sospettò che il risultato della votazione fosse già stato prestabilito, sicuro come il sorgere del sole al mattino. Rivolse un sorriso ironico a Hubble, che non pareva considerare la cosa, però, altrettanto divertente.
«Si mette con noi?» domandò Mundin.
Hubble aggrottò le sopracciglia.
Il presidente passò all'argomento dei compensi dei consiglieri. Mundin capì, dalla lettura di un lungo e complicato rendiconto sugli ammortamenti, sugli immobilizzi, e sulla svalutazione a fini fiscali, che i dirigenti della società ritenevano di non guadagnare abbastanza denaro. Ne volevano di più.
Durante la lettura, gli azionisti continuarono a chiacchierare amabilmente tra loro. Mundin cominciava a chiedersi per quale motivo si fossero disturbati a venire all'assemblea, quando l'aumento venne approvato all'unanimità, per acclamazione.
Il perché lo scoprì al successivo punto dell'ordine del giorno.
Era chiamato 'Diversificazione delle Fonti di Materie Prime, con Particolare Riferimento all'Allumina e ai Silicati'. Mundin non riuscì a trovare né capo né coda nella tortuosa, prolissa, incomprensibile relazione tecnica, ma notò che tutte le conversazioni si erano improvvisamente interrotte. Un gruppo, formato da non più di quattro o cinque uomini, si era riunito in un angolo, e tutti stavano facendo dei calcoli e delle annotazioni sul retro di buste. I segretari correvano avanti e indietro, portando libri e fascicoli di documenti, mentre la lettura proseguiva, monotona e implacabile.
Alla fine, il presidente disse, in tono noncurante;
«Ebbene, signori, una domanda. Dobbiamo risparmiare tempo, chiedendo un'approvazione per acclamazione?»
Un ometto grigio e sparuto si alzò, e disse;
«Chiedo il voto scritto.» Guardò velenosamente un uomo, che sedeva in prima fila, con un atteggiamento studiatamente noncurante, e disse, minacciosamente, «E permettetemi, signori, di dirvi che conserverò una copia della votazione. E mi farò guidare da essa nel prendere decisioni future, specialmente nell'ultima settimana del prossimo quadrimestre. Spero di essermi spiegato con sufficiente chiarezza.»
Il presidente si raschiò la gola, e diede disposizioni perché venisse effettuata la votazione scritta.
La proposta venne respinta per uno stretto margine, in un'atmosfera di passioni represse. Mundin si rendeva conto, vagamente, di avere assistito a una durissima battaglia... una prova di forza tra due potenti gruppi, nella quale milioni di dollari erano la parte più piccola della posta in palio, che doveva essere infinitamente più vasta.
Al di là di questo, non riuscì a capire nulla.
Hubble, accanto a lui si stava innervosendo visibilmente. Mundin si piegò verso di lui, e mormorò:
«Se lei si mettesse con noi, lei potrebbe decidere, con la sua percentuale, una votazione come questa.»
«Lo so,» disse Hubble. «Lo so.» E poi, dopo una lunga pausa. «Mi faccia vedere di nuovo quel documento.»
In questo modo, Mundin seppe di averlo in pugno.
L'assemblea continuò.
Ci furono altri tre scontri... sulle Rappresentaze Imprenditoriali; sulla Petizione per la Diminuzione dei Tassi di Prelievo; e sulla Commissione di Studio per i Miglioramenti Tecnologici. Tra una votazione e l'altra, Hubble lesse almeno dieci volte il documento, e chiese maggiori informazioni e chiarimenti. Mundin parlava in tono sbrigativo, senza impegnarsi troppo:
«Sì, sono miei clienti. No, spiacente, non posso dirle dove si trova in questo momento il signor Lavin, temo. Sì, è proprio come lei ha sentito... c'è una sorella. Il signor Arnold, il presidente, probabilmente potrebbe darle informazioni maggiori di me, sul suo conto.»
«Arnold c'entra, nella faccenda?»
«Fino al collo. Arnold tenterà, probabilmente, tra poco, di... ecco, ci siamo!»
Uno degli incolori segretari stava leggendo, dominando il brusio della sala:
«Proposta di rettificare l'anomala distribuzione dei voti. Si propone di autorizzare il consiglio di amministrazione ad acquistare, alla parità di mercato, un pacchetto azionario dormiente, cioè che non è stato mai usato per votare dal giorno dell'emissione, cioè da un tempo non inferiore ai dieci anni, e che dovrebbe venire depositato nella tesoreria della società.» Le parole veleggiarono nella sala, senza suscitare alcun commento.
Mundin bisbigliò:
«Chieda a quale percentuale ammonta quel pacchetto azionario. Così avrà la risposta che cercava.»
Hubble esitò, poi inghiottì l'amo, esca e tutto. Si alzò, con aria cupa e determinata, e fece la domanda.
Arnold sorrise:
«Temo che ci manchino i dati precisi. Più che altro, si tratta di una misura di ordine pratico, signor Hubble.»
Hubble disse;
«Mi accontenterei di una stima approssimativa, signor Arnold.»
«Senza dubbio. Ma, come le ho detto, ci mancano i dati. E ora, per procedere...»
Hubble si stava impuntando.
«Per caso, l'ammontare di questo pacchetto azionario non è del 25%?» In tutta la sala, si fece silenzio, mentre i presenti si raddrizzavano nelle loro sedie.
Arnold cercò di ridere. Hubble esclamò, seccamente;
«Ripeto la mia domanda. Il pacchetto azionario che lei ci ha chiesto di essere autorizzato ad acquistare, per depositarlo nelle casse della società, sotto il suo controllo, non rappresenta il venticinque per cento? Sì o no?»
Mentre quelle parole si stavano spegnendo nell'aria, da tutti i presenti si levò un sordo brontolio. Hubble lo ignorò.
«Sì o no, signor Arnold?» domandò. «Direi che si tratta di una domanda semplicissima! E, se la risposta è no, chiederò di vedere i documenti.»
Arnold fece una smorfia.
«Per favore, signori! Per favore, signor Hubble! Un po' di silenzio, prego! Signor Hubble, visto che lei ha delle obiezioni alla proposta, la ritireremo. Presumo di avere il consenso di tutti i presenti, su questo cambiamento dell'ordine del giorno. E ora passiamo a...»
Hubble tuonò:
«Lei non ha il mio consenso a questo cambiamento dell'ordine del giorno, signor Arnold. Insisto nel chiedere precise informazioni in proposito.»
Qualcuno scivolò in una poltrona accanto a Mundin. Un vecchio signore, alto, di bell'aspetto, e magnificamente conservato.
«Io sono Harry Coett,» mormorò. «Cosa sta succedendo? L'ho vista parlare con Bliss, e poi è scoppiato il finimondo. Senta, lei non era con Green, Charlesworth? No? Mi sembrava di conoscerla. Be', cosa succede? Arnold è spaventato a morte. Lei ha qualcosa in mano. Di che si tratta?»
Mundin domandò, con aria compiaciuta:
«Cosa ci guadagno, a dirglielo?»
L'uomo trasalì, visibilmente.
«Ehi amico! Io sono Harry Coett. In che mondo vive, lei?»
Un terzo personaggio si unì a loro, mentre la discussione tra Hubble e il presidente infuriava, e si diffondeva a tutta la sala.
«Sembra che lei abbia messo qualche buona carta in mano a Hubble, giovanotto,» disse il nuovo arrivato. «Mi piacciono i tipi combattivi. Qualcuno mi ha detto che lei è un avvocato, e si dà il caso che proprio ora ci sia un posto libero nel nostro ufficio legale. Un ottimo posto. Io rappresento le Strade & Comunicazioni, vede. Mi chiamo Nelson...»
Coett scattò:
«Sono arrivato prima io, George!»
Nel frattempo, la discussione era sfuggita di mano a Hubble. Sentendo odore di sangue e di denaro, una buona metà degli azionisti presenti stava combattendo per avere la possibilità di interrogare Arnold, che sudava copiosamente, e, con ferrea determinazione, riusciva a non dire niente... anche se la sua espressione diceva già molto. L'altra metà degli azionisti sembrava combattere per entrare nel gruppo che circondava Mundin, lo strano giovanotto che sembrava sapere molte cose. Mundin, sorridendo cortesemente, e senza guardare negli occhi nessuno, udì i mormorii e le congetture;
«...un avvocato della S.E.C. immagino, che vuole mettere in difficoltà il vecchio Arnold, per saldare il conto di...» «... in campo, ma come fai a sapere che non l'abbiano mandato Green, Charlesworth, o...» «No, somaro! È per procura! Sono rimasti in silenzio, per...»
Giudicò che fosse giunto il momento opportuno. Disse, molto educatamente;
«Scusatemi, signori,» e si alzò. «Signor Presidente!» chiamò.
Arnold evitò con ostentazione il suo sguardo, e diede la parola a un altro azionista... che diventò immediatamente la meta di uno scatto di dieci metri di Harry Coett. Coett bisbigliò qualcosa, in tono urgente, all'orecchio dell'uomo e questi disse:
«Cedo la parola al signor Mundin.»
«Grazie,» disse Mundin. «Forse io potrò chiarire questa situazione confusa. Però, signor Arnold, prima gradirei parlare a uno dei miei mandatari... la signorina.»
«Mandatari?» domandò, incerto, Arnold. Un segretario gli mormorò qualcosa all'orecchio. «Oh. La signorina Lav... oh, certo. La signorina sarà... ehm... libera di parlare, immediatamente dopo la conclusione dell'assemblea. È una soluzione soddisfacente, signor Mundin?»
«Perfettamente.»
Era tutto, e molto, molto più di quanto egli avesse mai osato attendersi. Non solo aveva gettato nel caos l'assemblea, tanto che metà degli azionisti della G.M.L. si stavano assiepando intorno a lui, ma Arnold gli avrebbe restituito Norma, al suo prezzo, con l'unico impegno di 'non chiarire la situazione'. Il proiettile di Arnold gli era scoppiato in faccia; e invece che impadronirsi del pacchetto azionario dei Lavin, sarebbe stato fortunato se fosse riuscito a tenere in pugno il consiglio.
Mundin sedette, comodamente, e in silenzio... rispondendo alle domande e alle offerte che gli facevano i Titani con cortesi cenni non impegnativi.
La rivolta degli azionisti cominciò visibilmente a perdere d'intensità. Con l'improvviso silenzio di Mundin, i rabbiosi e incerti Titani avevano capito che una specie di mercato si era svolto e concluso sotto il loro naso. E questo a loro non piaceva affatto; l'avevano fatto loro stessi troppe volte, per sopportare che il procedimento si svolgesse alle loro spalle. Uno degli azionisti chiese le dimissioni di Arnold, ma l'opinione dei più moderati prevalse. Era più opportuno aspettare che la situazione si fosse in qualche modo chiarita. Era meglio aspettare che Mundin dicesse quello che sapeva.
Il resto dell'assemblea si svolse con una rapidità incredibile; Hubble passò buona parte del tempo a lamentarsi:
«Accidenti, Mundin, lei ha fatto a me la prima offerta! Mandi all'inferno questi avvoltoi! Si serviranno di lei, e poi la getteranno via. Io sono l'unico grosso azionista della società in possesso di una mente aperta, e...»
«Sciocchezze!» esclamò Harry Coett, con decisione. «Non so quali siano i suoi piani, Mundin, ma qualunque cosa lei abbia in mente, avrà bisogno di un finanziamento. E io sono Harry Coett. Lasci che me ne occupi io...»
George Nelson disse:
«Perché non gli dici che cosa hai fatto al vecchio Crowther? Anche lui aveva bisogno di un finanziamento.»
Mundin non riuscì a sapere che cosa avesse fatto Harry Coett al vecchio Crowhter. Quando l'assemblea venne aggiornata, egli si mise alle costole di Arnold, che gli rivolse un debole sorriso.
«Venga a trovarmi, signor Mundin,» lo esortò il presidente. «Sono sicuro che potremo metterci d'accordo. Non ci conosciamo già? Lei non era con Green, Charlesworth?»
«La ragazza, Arnold,» disse seccamente Mundin.
Arnold gli disse:
«La signorina Lavin la sta attendendo in anticamera.»
Norma Lavin era davvero in anticamera, pallida e furiosa.
«Salve, Mundin,» disse, in tono non così aspro, e in modo non così mascolino. «Ce ne ha messo del tempo, devo dire.» E poi scoppiò in lacrime, appoggiandosi al suo petto. «Non ho firmato. Lo sapevo che Don non era morto. Non ho firmato. Io...»
«Silenzio, superdonna,» le ordinò seccamente Mundin. «La smetta di rivelare delle informazioni importanti a chiunque potrebbe ascoltare. Ogni sua parola è fatta di oro puro.» Ma scoprì che stava tremando a sua volta... a causa della reazione alle lunghe ore di tensione. E soprattutto, a causa di... Norma.
Si controllò, quando Coett, alle sue spalle, disse:
«Dunque è questa la gentile signorina oggetto del piccolo mercato tra lei e Arnold, eh? È la sua cliente, avvocato?»
«Può darsi,» disse Mundin.
«Oh, la smetta, Mundin,» disse Coett, con aria calcolatrice. Si rivolse a Norma. «Mia cara,» le offrì, generosamente. «Posso darle un passaggio da qualche parte? Anche a lei, naturalmente, avvocato.»
«Può darmi ascolto, Mundin?» lo esortò Nelson. «Gli chieda di raccontarle la faccenda del vecchio Crowther...»
«Accidenti,» disse Hubble, furibondo. «Se voialtri avvoltoi voleste togliervi dai piedi...»
Mundin disse:
«Cercherò di essere chiaro, signori. La signorina Lavin e io dobbiamo fermarci nella sala d'attesa, per prendere una... ehm... una giovane signora che ci sta aspettando. Tra cinque minuti, scenderemo all'entrata principale. Saremo lieti di essere accompagnati da tutti e tre, o da due almeno. Potrete discutere del resto tra voi.»
Trascinò fuori Norma. Lana era appollaiata sulla scrivania della receptionist,e aveva un'aria ostile... ma non ostile quanto quella della receptionist. Mundin le domandò:
«Cosa ne è stato di Bligh?»
«È fuori,» rispose Lana. «Ha detto che ne aveva avuto abbastanza, delle Giornate dei Giochi, anche se non so cosa diavolo volesse dire. È questa la tua ragazza?»
«Sì,» disse Mundin. «È la mia ragazza.»
I tre raggiunsero Norvell Bligh, che era seduto al sole, fuori, e si diressero verso le file di automobili e autoblinde. Vennero accolti da un amichevole comitato di tre persone.
«Tutto risolto, Mundin,» disse con aria allegra Hubble. «Coett e Nelson vengono con noi.»
«Bene,» disse Mundin. «Dove andiamo a parlare?»
Hubble disse, gioiosamente:
«A casa mia. È tutto sistemato. Vi piacerà... semplice, tranquillo, ma comodo.»
Formarono una bella processione; due auto e un'autoblinda. Non si fermarono per niente, né al posto di blocco degli Itty-Bitty, né alla barriera doganale.
«Passeremo per la Fifth Avenue,» disse Hubble.
«Oh, no!» gemettero all'unisono Coett e Nelson.
«Mi piace,» disse l'uomo più giovane.
Attraversarono lentamente la Città Vecchia abbandonata, vuota e deserta. Mundin sbalordì, alla vista di un'automobile che non apparteneva alla loro processione; ronzando, tagliò loro la strada, all'incrocio tra la 34a Strada e la Fifth Avenue, sotto l'ombra titanica dell'Empire State Building. Girò il collo, dopo il suo passaggio, ed esclamò:
«Ne è sceso qualcuno. Sta entrando nell'Empire State!»
«Perché no?» grugnì Hubble, attraverso l'intercom. Era in macchina con Nelson e Coett, perché nessuno dei tre si fidava a lasciare uno degli altri solo con Mundin e Norma, durante il viaggio.
«Avevo sempre creduto che l'Empire State fosse vuoto, come tutto il resto della Città Vecchia,» disse l'avvocato, con grande dignità.
«Lo tengono illuminato di notte, no? Be', per questo è necessaria una certa manutenzione. Quell'uomo sarà stato certamente un elettricista.»
Mundin poteva anche non essere un buon avvocato, ma era abbastanza intelligente da capire, con assoluta certezza, che Hubble gli aveva mentito.
CAPITOLO XVI
Lana cominciò a tirare la manica a Mundin.
«Voglio andare a casa,» disse.
Mundin disse, gentilmente;
«Certo, certo.» Norma, esausta, si era addormentata sul suo braccio, e la sua circolazione era stata messa a dura prova da quindici chilometri e più. La ragazza era un bel peso... ma, stava pensando Mundin, curiosamente piacevole.
«Voglio dire subito,» insisté Lana. «Ho dei doveri verso i Coniglietti.»
«Anche a me piacerebbe tornare a casa,» intervenne Norvie Bligh.
Mundin cercò di muovere il braccio intorpidito, e cominciò a riflettere. Lana e Bligh avevano fatto la loro parte, secondo gli accordi. Disse:
«Va bene. Vi farò scendere alla stazione degli autobus più vicina. Pensate di farcela, a ritornare, una volta lì?» Entrambi annuirono, e Mundin si protese avanti, per segnalare all'autista le sue intenzioni.
La loro auto si fermò alla stazione degli autobus, ai margini della Città Vecchia, in un quartiere abitato. L'auto che li seguiva si fermò a sua volta. Hubble, Nelson e Coett si affacciarono, preoccupati.
«Qualcosa che non va?» chiamò Hubble, abbassando il finestrino blindato.
Mundin scosse il capo, fece scendere Lana e Norvie, e disse al suo autista di ripartire.
E, venti minuti dopo, essi raggiunsero la casa di Hubble.
Era tranquilla e confortevole... ma non semplice. Era una grandiosa villa, al centro di un favoloso parco privato di Westchester. Percorsero l'ampio viale d'ingresso, e parcheggiarono accanto a quella che pareva una Rolls-Royce del 1928.
Bliss Hubble era già allo sportello dell'automobile, e lo teneva aperto per loro.
«Mia moglie,» spiegò, indicando la Rolls Royce. «Ha una vera mania per le decorazioni d'epoca. Oggi è il periodo hooveriano, vedo; la settimana scorsa è stato neo-romano. Non che a me importi molto, ma si hanno degli obblighi.»
«E anche delle mogli,» disse Norma Lavin, che pareva ritornata alla normalità.
«Oh, è molto bello,» cercò di rimediare Mundin. «Davvero imponenete.»
La signor Hubble li accolse con uno sguardo incredulo. Si rivolse al marito, con l'aria di chiedere, 'prova-a-spiegarmi-questo-se-ci-riesci!»
Hubble disse, frettolosamente:
«Mia cara, posso presentarti la signorina Lavin...»
«Solo Lavin,» disse Norma, freddamente.
«Naturalmente, Lavin. E questo è il signor Mundin. Conosci già Harry e George. Il signor Mundin è stato così gentile da farmi i suoi complimenti, per il modo in cui hai arredato la casa.»
«Davvero,» disse la signora Hubble con sguardo sempre più gelido. «Ti prego di ringraziare il signor Mundin, e d'informarlo che il suo gusto corrisponde esattamente a quello della nostra governante... che non lavora più qui, da quando io mi sono svegliata, questa mattina, e ho scoperto che aveva predisposto l'arredamento in questo modo dozzinale, insopportabile e volgare. Informa il signor Mundin, inoltre, del fatto che, quando la governante se ne è andata... molto rapidamente, te lo assicuro... ha portato con sé tutte le chiavi di comando, e, di conseguenza, io sono stata condannata ad aggirarmi per queste rivoltanti stanze, in attesa che mio marito credesse bene di ritornare a casa con le sue chiavi, in modo che io potessi trasformare questo obbrobrio in qualcosa di più simile a un'abitazione umana.» Hubble s'irrigidì, infilò la mano in tasca, ne estrasse un mazzo di chiavi. Sua moglie le prese, e si allontanò per i vasti, spogli saloni.
«Nervosa,» mormorò Hubble ai suoi ospiti.
Coett disse, con entusiasmo:
«Abbiamo raggiunto un accordo su un paio di cose, mentre venivamo qui, Mundin. Adesso...»
Hubble disse, severamente:
«Harry, insisto! Sono io l'ospite. Neanche una parola di lavoro, fino a quando non avremo cenato.»
Fece loro strada, attraverso un maestoso corridoio, tenendosi accuratamente al centro. Arrivato in un punto, disse, bruscamente;
«Attenti!»
Gli altri, obbedienti, si tennero lontano dai muri che stavano cominciando a muoversi e a scintillare stranamente.
«Mia moglie,» spiegò loro Hubble, con un sorriso forzato. «Le normali pareti di una casa a bolla dovrebbero essere sufficienti, no? E invece no! Non va bene niente, all'infuori di un completo sistema d'illusione tridimensionale. Non vi dico la spesa! E poi si inciampa sempre di qua e di là, al buio; e poi ci si sveglia nel cuore della notte, perché il letto a colonne si sta trasformando in uno di stile hollywoodiano! Vedete, lei soffre d'insonnia, e allora...»
Le pareti si erano stabilizzate, ora; i vecchi mobili si erano tutti ritirati, per essere sostituiti da nuovi pezzi. L'attuale preferenza della signora Hubble pareva andare all'antico stile corpo di guardia... uno stile che poteva andare bene, forse, per il ponte di un incrociatore da guerra, ma non corrispondeva esattamente all'idea che Mundin aveva sull'arredamento di un'abitazione. Prudentemente, però, evitò qualsiasi commento.
A tavola, la conversazione non fu scintillante; erano tutti affamati, dopo le fatiche e la tensione della giornata.
«Devo dunque credere,» indagò, gentilmente, Hubble. «Che la signorina Lav... che Lavin, voglio dire, è stata veramente rapita dal signor Arnold?»
«Ne dubito, sinceramente,» rispose Norma, con la bocca piena. «Probabilmente lui ha assunto soltanto un'aria infelice, e ha detto, 'Povero me, vorrei davvero che si potesse fare qualcosa, per quel pacchetto azionario'. Qualche suo leccapiedi deve aver sentito, e ha messo in moto l'intero ingranaggio. In ogni caso, Arnold ne sarebbe uscito con le mani pulite. Non è colpa sua se la gente, per farsi dei meriti, va oltre i propri poteri e abusa della propria autorità, no?»
Prese un'altra forchettata di riso selvatico.
«Mi hanno trattenuta per quasi una settimana. Dio, che confusione! Potevo andarmene e non potevo andarmene. Ero libera di andarmene quando avessi voluto, ma, temporaneamente, loro ritenevano più prudente tenermi chiusa a chiave. Firma la cessione di quanto ti resta del pacchetto azionario che hai ereditato, e ti pagheremo un milione... pensa! Un intero milione. Ma noi non vogliamo le azioni, naturalmente. È solo che la loro esistenza ha un trascurabile valore di disturbo. E ora, bella mia, hai deciso di essere ragionevole, oppure dobbiamo ricorrere alle maniere forti? Mia cara bambina, non abbiamo neppure la più remota intenzione di farti del male!»
Norma corrugò la fronte.
«Arnold mi ha fatto una sola visita. Per tutto il tempo, ha continuato a fingere che fossi io a voler vendere a lui le azioni. Non so, può darsi che qualcuno gliel'abbia detto e che lui abbia creduto a questa tesi anche perché gli faceva comodo. So soltanto che adesso mi sento come se qualcuno mi avesse dato una gran botta sulla testa.»
Un maggiordomo entrò nella sala da pranzo.
«È in casa per il signor Arnold, signore?» bisbigliò.
«No!» esclamò Hubble, deliziato. «L'hai sentita questa, Coett?»
Nelson intervenne.
«Non essere così precipitoso, Bliss. Sei sicuro di fare la cosa giusta? Forse, se noi tre ci unissimo...» diede una rapida occhiata a Mundin. «Cioè, se fossimo proprio tutti,potremmo eliminare la banda di Toledo.»
Coett disse:
«Digli di andare all'inferno. Di' al maggiordomo di dirglielo, forte, in modo che possiamo sentire tutti. Prima di tutto sistemiamo le cose tra noi... poi decideremo chi altri dovrà entrarci, se qualcuno dovrà entrarci. Ma non credo che abbiamo bisogno di nessun altro.»
«Diglielo,» ordinò Hubble al maggiordomo, visibilmente compiaciuto. «Amici, se sapeste da quanto tempo aspettavo questo momento... Be', va bene. Harry ha ragione, George. Pensaci un attimo. Tu hai il controllo dell'undici per cento, contando le procure. Io ho il cinque e mezzo, per conto mio. Harry ha il tre per cento, per conto suo, e può influenzare... quanto, Harry?»
«Un altro nove per cento,» rispose Coett, brevemente.
«Visto?» disse Hubble. «È sufficiente. Con il venticinque per cento di questa gente, noi...»
Mundin pestò con precisione il piede di Norma, un attimo prima che lei aprisse bocca per chiedere come avevano fatto a trovare il pacchetto azionario perduto. Poi disse, rapidamente:
«Non pensate che dovremmo rimandare tutto questo a dopo cena?»
Hubble si guardò intorno.
«Be', ormai la cena è finita,» disse, gentilmente. «Andiamo a prendere il caffè in biblioteca.»
Hubble si fermò, davanti all'ingresso della biblioteca, e manovrò degli interruttori per un momento, prima di permettere agli ospiti di entrare.
«Qui dentro comando io,» disse, con aria orgogliosa. «Mia moglie controlla quasi tutto il resto della casa, ah ah, e quindi non può protestare se io mi riservo la mia piccola tana, tutta per me! Vediamo se possiamo avere qualcosa di più allegro.» La 'biblioteca'... non c'era niente, in giro, che assomigliasse a un libro o a un microfilm... scintillò e parve fluire, e si trasformò in qualcosa di simile alla ricostruzione di un club londinese del diciannovesimo secolo.
Mundin provò una delle grandi poltrone, sospettosamente, e la trovò comoda. Norma lo stava ancora fissando, con aria pensierosa; ma tenne la bocca chiusa, e Mundin disse, in tono allegro:
«E ora, signori, al lavoro.»
«D'accordo,» disse Harry Coett. «Prima di procedere, però, vorrei sapere qual è la nostra posizione su un certo punto. Sono sicuro che si tratta solo di una di quelle voci incontrollate che nascono chissà come, ma ho sentito qualcuno che diceva una certa cosa, all'assemblea. Si è accennato a Green, Charlesworth. Tanto per saperlo, voi avete niente a che fare con loro?»
Green, Charlesworth. Ryan li aveva menzionati, ricordò Mundin; sembrava un grosso motivo di preoccupazione. Mundin disse, in tono conclusivo:
«Noi non siamo portavoce di Green, Charlesworth. Parliamo soltanto per noi stessi. La signorina Lavin e suo fratello sono gli eredi diretti di uno dei fondatori della G.M.L. Io... ehm... be', si dà il caso che abbia qualche azione della società, oltre a essere il loro legale.»
Coett annuì, con decisione.
«Va bene. Allora si tratta di un colpo di forza, semplice e chiaro; e noi siamo abbastanza forti per riuscirci. Credo che saremo tutti d'accordo, allora, sul fatto che il primo passo debba essere quello di mandare in fallimento la società?»
Mundin disse, in tono strozzato:
«Ehi!»
Coett sorrise.
«Ero sicuro che lei non fosse un esperto,» disse, amabilmente. «Che cosa si aspettava, Mundin?»
«Be',» disse Mundin, arrossendo. «Ci sono... ehm... le vostre azioni, e le nostre azioni, e... be', a me sembra una faccenda semplicissima. Conquistiamo la maggioranza, e la maggioranza comanda, no?»
«Signor Mundin, lei ha molto da imparare. Lei è convinto seriamente che noi riusciremmo a far valere direttamente il nostro voto, con gli attuali regolamenti?»
«Non lo so,» disse onestamente Mundin.
«Infatti,» assentì Coett. «Lei non può far girare la barca. I mandatari non lo accetterebbero; un colpo di mano, sì, ma condotto nella maniera giusta.»
Norma Lavin commentò:
«Immagino che abbia ragione, Mundin. Sono riusciti a fermarci fino a ora, in una maniera o in un'altra. L'unica vera differenza è che, ora, questa gente sa che siamo vivi, e crede di poterci ripulire più comodamente.»
«Per favore!» dissero Hubble e Nelson, con un certo disagio.
Coett, sogghignando, le assicurò:
«Lei ha perfettamente ragione. E, per la prima volta, comincio a dubitare che non riusciremo a farlo.»
Mundin lo interruppe:
«Ma perché il fallimento?»
Lo fissarono tutti. Finalmente Hubble domandò, diffidente:
«Ah... e in quale altra maniera procederebbe lei, signor Mundin?»
Mundin disse:
«Be', io non sono un avvocato civilista, signori... e lascio questo aspetto della situazione al mio collega, avvocato Ryan, che è membro dell'ordine. Ma a me sembra che il primo passo dovrebbe essere, ovviamente, la formazione di un comitato di azionisti, e la richiesta di un rendiconto da parte dell'attuale consiglio di amministrazione. Possiamo appoggiare la richiesta, se lo credete necessario, con una notifica del S.E.C. So naturalmente, che il gruppo di Arnold cercherà di prendere tempo e di raggiungere un compromesso, offrendoci probabilmente qualche posizione rappresentativa nel consiglio di amministrazione, molto inferiore, come valore, a quella che potremmo ottenere con le nostre azioni. Ma si tratta di una faccenda semplicissima da controllare; basterà inoltrare una formale citazione...»
Hubble e Nelson dissero:
«Rischioso.»
Coett disse:
«Non funzionerà mai. Senta, ragazzo mio, così non concluderemo niente. Ricordo benissimo quando la banda di Memphis tentò di...»
Mundin lo interruppe:
«Chi?»
«La banda di Memphis. Il gruppo di Arnold. Loro strapparono la G.M.L. alla banda di Toledo, diciotto anni fa, seguendo un procedimento simile a quello di cui lei ha parlato adesso. Ma ci sono voluti sei anni per portare in porto l'operazione, e se la banda di Toledo non fosse stata un po' a corto, per quanto riguardava il pacchetto azionario delle Ferrovie, non ci sarebbero mai riusciti. E sono ancora fortissimi; ha visto con i suoi occhi che Arnold è stato costretto a mettere Wilcox nel consiglio, per placarli.»
Mundin, che non aveva la minima idea di che cosa diavolo stesse dicendo l'altro, disse, disperatamente;
«Non potremmo almeno tentare?»
«Perderemmo il tempo! Quando Arnold ha assunto il controllo, la G.M.L. aveva un patrimonio inferiore ai dieci miliardi. Ora, davanti a noi si trova una massa di capitale infinitamente più grande. E questa massa possiede una sua inerzia, Mundin! inerzia! Non può muoverla, con una piuma; c'è bisogno della dinamite. Ci vorrà del tempo, e ci vorrà del denaro, e molto duro lavoro, e molta intelligenza, per spostare questa massa. E le dirò io come dobbiamo fare.»
E lo disse. Mundin ascoltò, pervaso da uno stupore crescente, e da qualcosa che si avvicinava all'orrore. Un fallimento! Com'era possibile mandare in fallimento una società che valeva quattordici miliardi di dollari, notoriamente solvibile, incredibilmente prospera?
Non gli piacquero affatto le risposte, quando le udì. Ma, si disse, non si poteva fare una frittata senza rompere qualche uovo d'oro.
Coett, che si divertiva visibilmente, stava tracciando i suoi piani, con colpi rapidi, decisi:
«Va bene, Bliss, metti al lavoro i tuoi ragazzi sulla petizione, per la formulazione e tutto il resto; a questo ci penseremo noi, prima che loro ci pensino, e vogliamo averla pronta. Poi...» Mundin, che stava prendendo appunti, rimase ad ascoltare fino alla fine. Ma l'esercizio del diritto civile presso le grandi società non gli piaceva, come aveva pensato che gli sarebbe piaciuto, prima di conoscerlo. Desiderò intensamente, per un momento, la presenza del vecchio Ryan. E di una bella scatola piena di pillole di yen.
Era quasi mezzanotte. Mundin non si era mai sentito così esausto in vita sua; anche Norma Lavin pareva distrutta. Coett, Hubble e Nelson avevano gli occhi lucidi e parevano entusiasti... erano degli abili tecnici, che svolgevano il lavoro che sapevano fare meglio di ogni altro.
Ma il lavoro era finito. Mundin, sbadigliando, si alzò faticosamente in piedi. Disse, stancamente:
«Così, la prima cosa che devo fare è quella di aprire uno studio?»
Ci fu una pausa.
Harry Coett sospirò. Disse;
«Non è esattamente la prima cosa, Mundin.»
«Che cosa, allora?» Mundin lo guardò.
Coett disse, freddamente:
«La chiami una faccenda di soddisfazione personale. Abbiamo udito delle strane voci, a proposito del giovane Lavin. Non dico che siano vere; non so se siano vere o no. Ma se sono vere, non muoveremo un solo passo.»
Mundin fiammeggiò, ma non con la rapidità sufficiente;
«Mi stia a sentire, Coett...»
Coett disse, con calma:
«Lasci perdere. Abbiamo visto tutti la sua procura. È una procura in piena regola, e sono sicuro che sia validissima. Ma non si tratta di una procura azionaria, Mundin. Non menziona da nessuna parte delle azioni della G.M.L., se non alla fine, e quel paragrafo non è firmato da Don Lavin.»
«Che cosa vuole, allora?» domandò Mundin, ostile.
Coett disse:
«Mi permetta di raccontarle una storia fantastica. Non dico che sia vera, cerchi di capirmi. Ma è interessante. Ci sono due giovani, per esempio un fratello e una sorella. Uno di loro ha delle azioni, ma non può usarle. L'altra è... ehm... temporaneamente fuori circolazione. Supponiamo che un giovane avvocato ambizioso metta le mani su di loro. Per prima cosa, riesce a partecipare a un'assemblea, in modo che si sappia che le azioni esistano. Con quest'arma, riesce a liberare la ragazza, dal luogo in cui essa è stata tenuta nascosta. Con la ragazza, lui riesce a convincere tre buoni creduloni... come Hubble, Nelson e me, per esempio. Tenendo quei tre creduloni in pugno, lui riesce a strappare un riconoscimento delle azioni a qualcuno, Arnold, per esempio. Si tratta di un eccellente lavoro: così ha la ragazza, e ha le azioni. Il problema è questo: che cosa rimane ai creduloni, in questo caso?»
Dio, pensò Mundin, e io che non ho mai creduto nella telepatia. Disse:
«Si aspetta che io consideri seriamente questa fantasia?»
Coett scosse il capo.
«Naturalmente no, Mundin. Solo, per amore della chiarezza, prima che ci lasciamo coinvolgere troppo in questa faccenda, vediamo le azioni. Andrà bene domani mattina?»
«Domani mattina andrà benissimo,» disse Mundin, stancamente.
CAPITOLO XVII
Prendiamo il Porto di New York.
Non le acque sporche, nere, coperte di schiuma e cenere, che bagnano i confini di Torcibudella, ma il Porto della vecchia New York, quando Tour de Cybele era un quartiere nuovissimo, e la vernice non si era ancora screpolata. La rada è piena di transatlantici (ricordate i transatlantici?). Tra Manhattan e Jersey, le acque sono solcate da un'infinità di traghetti. Ne esistono moltissimi, nella confusione e nell'attività della seconda metà del ventesimo secolo; almeno una dozzina di linee, e anche più; certi traghetti sono nuovi, altri vecchi, alcuni sono veloci, altri lenti...
Ci sono due linee di traghetti di proprietà delle ferrovie (Ricordate le ferrovie?).
Una è costituita da una flotta verde e orgogliosa. Mezza dozzina di navi che stazzano mille tonnellate, hanno lo scafo di puro acciaio, e sono uscite dai cantieri di Newport. Le loro rotte sono guidate dai radar, e il loro aspetto è poderoso, imponente.
La seconda flotta: tre vecchie carcasse piccole, color ruggine, che si muovono alla cieca di ormeggio in ormeggio.
Considerate il paradosso: i vecchi traghetti color ruggine appartengono a una ferrovia ricchissima e solvibile. I giganti dagli occhi di radar sono di proprietà di una società che è stata nelle mani dei liquidatori fallimentari per quattro decadi e due anni.
È un fatto noto e assodato che, verso la metà del ventesimo secolo, l'unica compagnia di traghetti di New York che poteva permettersi d installare a bordo delle proprie unità tutti i più moderni ritrovati della scienza apparteneva a una società in stato fallimentare.
Proviamo a riscrivere il dizionario:
fallimento (sm): la condizione nella quale gli affari sono gestiti non dai proprietari, ma da parti disinteressate; di conseguenza,la condizione naturale, e preferita, della Grande Finanza.
Mundin disse, ostinatamente:
«Va bene, va bene, va bene! Non c'è bisogno di ricominciare da capo, Ryan. L'alta finanza è il pane, e companatico di Coett, e non il mio; e il diritto civile, e le battaglie legali tra le grandi società, sono affar suo, e non mio; e se vi mettete d'accordo, e dite tutti quanti che la G.M.L. deve essere mandata in fallimento, non ho intenzione di intralciarvi la strada. Ma sono dei metodi che non mi piacciono.»
Ryan si mosse, faticosamente, sul vecchio divano. Mundin cominciava a preoccuparsi, per il vecchio avvocato; la sua pelle era di un giallo livido, i suoi occhi erano cerchi neri. Evidentemente, quel vecchio stupido non aveva quasi toccato cibo, nelle ultime settimane. Ma riusciva ancora a dire cose sensate, quando parlava. Disse:
«Se lei va da un medico perché questi le salvi la vita, si lamenta per il cattivo sapore della sua medicina?»
Mundin non rispose. Scosse il capo, preoccupato, e ricominciò a camminare nervosamente su è giù per la stanza.
Norma, che era andata a mettere a letto Don Lavin, ritornò nel soggiorno. Sedette su una poltrona, stancamente, e si versò qualcosa da bere.
«Fanghiglia,» gemette, e fece una smorfia bevendo. «Ho estratto del liquore migliore da certi esemplari di laboratorio. Mundin, come facciamo per le azioni?»
Mundin disse:
«Lavin... cioè, Norma... se mi fa questa domanda ancora una volta, le giuro che pianto tutto e me ne vado. Non so cosa possiamo fare, per le azioni. Forse non potremo esibirle. Se è impossibile, è impossibile; ho passato una giornata terribile, e adesso, semplicemente, non mi sento nella forma più adatta per operare miracoli. Forse, domattina, potremo convincere Coett e gli altri a rinunciare alla richiesta. Chissà.»
«Forse no,» disse Norma: ma poi guardò il volto di Mundin, vide la sua espressione, e abbandonò l'argomento.
Era passata la mezzanotte; ma Ryan doveva essere messo al corrente di tutti gli sviluppi della situazione, e loro dovevano fare dei piani per il giorno dopo. Mundin fornì al vecchio un riassunto dell'assemblea degli azionisti, e della successiva discussione a casa di Hubble; i tre esaminarono e sezionarono e analizzarono ogni parola che era stata detta in quella massacrante giornata, e controllarono e ricontrollarono i loro progressi.
Norvell Bligh arrivò a casa loro verso l'una. Mundin gli permise di entrare, sbalordito per l'inaspettato arrivo dell'ometto.
«Volevo soltanto sapere se avevate bisogno di noi per qualcosa d'altro, per questa notte,» disse Norvell. La sua voce era ansiosa; evidentemente se la godeva un mondo, pensò Mundin, con una lieve traccia d'irritazione... senza rendersi conto di quello che un lavoro,qualsiasi tipo di lavoro, per qualsiasi tipo di ricompensa, poteva significare per un abitante di Torcibudella.
«Perché ha detto 'noi', Bligh?» domandò Norma Lavin.
«Parlavo di me e dei Coniglietti,» sorrise lui. «Lana mi ha fermato, mentre venivo qui. Ha detto di riferirvi che i G.G. avevano mandato una loro pattuglia da queste parti, verso le dieci, ma che i Coniglietti li hanno sistemati; non sanno se essi intendevano far fuori suo fratello oppure no, signorina Lavin.»
Il volto di Ryan parve diventare ancóra più livido; ma egli non parlò. Norma disse, in tono sospettoso:
«Non ho visto nessun Coniglietto, quando siamo arrivati qui.»
Bligh le diede un'occhiata.
«Non ci sarebbe riuscita, neppure se avesse cercato,» disse.
Mundin disse, dubbioso:
«Penso che lei possa ritornare tranquillamente a casa, Bligh. Non c'è niente altro che lei possa fare per noi, stanotte.»
«E cioè, devo pensare ai fatti miei?» domandò Bligh. «D'accordo. Se avete bisogno di qualcosa, dovete soltanto chiedere, ecco tutto.» Sorrise, amabilmente, e si avviò verso la porta.
Sorprendentemente, Harry Ryan lo fermò.
«Aspetti un attimo, Bligh. Mundin... Norma... volete venire qui un momento?»
Mundin e la ragazza, obbedendo al suo gesto, si avvicinarono al divano. Ryan disse, sottovoce:
«Non potremmo chiedergli se è in grado di procurare, be', un'assistenza medica per Don?»
Mundin disse, seccamente:
«Ryan, è stato lei a dirmi che non potevamo fare una cosa simile! La G.M.L. non ce lo permetterebbe mai, ricorda? L'impiego non autorizzato delle tecniche di condizionamento; quattordici miliardi di dollari; se tentiamo di violare la legge, la G.M.L. potrebbe...»
«La pianti, Mundin,» ordinò Norma. «Ryan ha ragione. Ora la situazione è cambiata. Abbiamo l'appoggio di Coett, Hubble e Nelson.»
«L'appoggio di quei tre!» esclamò Mundin, sempre sottovoce. «Se domani non presenteremo i certificati azionari, quei tre ci molleranno come delle patate bollenti!»
Sorprendentemente, Ryan scosse il capo.
«No, se dirà loro la verità... e se chiederà loro di collaborare, per rintracciare le azioni.»
«La verità!» sbuffò Mundin. «Lei crede che riuscirebbe a convincerli?»
«Forse sì,» mormorò Ryan, socchiudendo gli occhi.
«È assurdo!» esplose Mundin, che faticava a controllare il tono della propria voce.
Continuarono a combattere una battaglia dialettica, fatta di bisbigli per alcuni minuti, mentre Bligh rimaneva appoggiato, con aria allegra, alla porta, dove non poteva udirli, a distanza prudenziale; l'ometto li stava guardando. Mundin, rosso in viso e furibondo, lottava contro gli altri due; era Mundin che faceva obiezioni, e rifiutava, e scuoteva il capo. Disse, in tono controllato, dominando a stento la collera:
«Se proprio dobbiamo tentare di decondizionare Don, non è certamente questo il modo per farlo. Se dobbiamo violare la legge, almeno facciamolo privatamente, senza imbarcare nell'impresa ogni povero derelitto di Torcibudella, confidandoci con lui. L'ho già detto, Ryan, i metodi sporchi non mi piacciono. Certamente possiamo trovare il modo di riportare alla normalità Don in qualche maniera legale... ora abbiamo una certa forza, se quello che dice è vero; potremmo ottenere un'ingiunzione del tribunale, un'inchiesta, e...»
«E domattina, naturalmente, avremo le azioni,» concluse Ryan. «E dovremo prendere tempo con Coett e con gli altri, mentre lavoriamo su questa impresa. Ottimo lavoro, avvocato. Proceda, proceda pure.»
Mundin disse, furibondo:
«Come fa a essere sicuro del fatto che Bligh possa aiutarci? Supponiamo di rivolgerci a lui, e di fare un buco nell'acqua. Cosa avremmo concluso? Avremmo fatto una grande pubblicità ai nostri guai, e non avremmo progredito di un solo passo.»
Dalla porta, Norvell Bligh li chiamò:
«Mi lasci tentare, avvocato Mundin; le chiedo solo questo.»
Mundin si girò di scatto, fissandolo, incredulo. Bligh disse, con aria di scusa:
«So leggere le parole sulle labbra, avvocato, ricorda? Non si rimane sordi per trent'anni senza imparare qualcosa. In ogni modo, sono sicuro che Lana possa trovare un dottore. Basterà chiederlo a lei.»
Mundin si lasciò cadere su una poltrona, e gemette:
«È la fine,» disse, amaramente. «Un complice dopo l'altro; perché non lo pubblichiamo sui giornali?»
Norvell parve allarmato:
«Io non direi niente contro Lana, avvocato Mundin.»
«E chi sta dicendo niente contro di lei? Ma è soltanto una ragazzina di tredici anni. È impossibile che non parli. Non posso negare che ci sia stata di grande aiuto, per rintracciare la signorina Lavin, ma questo non fa di lei una superdonna. No, rifiuto nella maniera più assoluta di farle sapere che noi stiamo anche solo pensando di ricorrere a un medico clandestino.» Si interruppe di colpo; Bligh aveva prodotto un suono che somigliava pericolosamente a una risatina soffocata. «Che c'è, adesso?» chiese.
Norvie Bligh si controllò.
«Be', niente, avvocato Mundin,» si scusò. «È solo che lei... ehm... sottovaluta un poco Lana.»
«Ha soltanto tredici anni, Bligh!»
«Oh, certo.» Tossicchiò, con aria diffidente. E, in normale tono discorsivo, disse, «Lana, vieni fuori.»
La botola, alla sommità delle scale, cigolò e si aprì; Lana, con un attendente che non doveva avere più di otto anni, scese placidamente nel soggiorno. Bligh si affrettò a spiegare:
«Vede, avvocato Mundin, i Coniglietti sono molto accurati, quando hanno un lavoro da svolgere. Cosa ne dici Lana... sei in grado di trovare un dottore capace di guarire il ragazzo?»
Ci volle un po' di tempo... e l'aiutante di otto anni dovette correre avanti e indietro, dalla casa al quartier generale dei Coniglietti e viceversa.
«Si tratta di un'agita-borsetta che si chiama Tessie,» spiegò Lana, mentre il bambino era assente. «Aveva un amico molto particolare, un dottore. E quando l'hanno presa e condizionata, lui ha scoperto di non riuscire ad andare d'accordo con nessuna delle altre ragazze. Così...»
Così il dottore aveva trovato un altro dottore, un diagnostico; e il diagnostico, come favore professionale, aveva trovato un chirurgo...
Ci volle una lunghissima telefonata al signor Coett, e ci volle una notevole quantità del denaro del signor Coett. Sorprendentemente, quanto aveva detto il vecchio Ryan si rivelò esatto... la verità era molto più convincente di tutte le scuse che Mundin avrebbe potuto trovare. E anche quello che aveva detto Coett si rivelava esatto... quando c'era bisogno di un finanziamento, Harry Coett era indubbiamente la persona più adatta.
Mundin gemette, alla fine delle trattative, con aria completamente disgustata, e immaginò le più orribili catastrofi per l'avvenire. Ma una soluzione era stata trovata.
E così Don Lavin si ritrovò con un tumore al cervello... esattamente come, un tempo, una giovane signora che aveva commesso una sciocchezza avrebbe potuto rimediare grazie a un costosissimo attacco di appendicite... facendo apparire anche sul suo corpo un taglio eseguito a regola d'arte, come prova... una prova che avrebbe certamente sbalordito, nel caso di un successivo, vero attacco di appendicite, un altro chirurgo.
Il diagnostico di gran fama il cui nome era stato fornito loro descrisse il 'tumore' di Don come uno spongioblastoma, la più comune e maligna delle forme di tumore intercraniale. Egli raccomandò l'immediato intervento chirurgico... e poi si comprò un nuovissimo elicottero Cadillac di lusso, con porte automatiche, finestre automatiche, scaletta automatica e guida automatica.
Il chirurgo che egli suggerì era, se possibile, di fama ancora più grande... ed era anche più costoso. Egli estirpò lo spongioblastoma nella sua clinica privata... o almeno il Comitato Istologico della clinica esaminò ciò che egli aveva dichiarato di avere rimosso dal cervello di Don Lavin, e che era indiscutibilmente uno spongioblastoma, consistente di cellule piriformi e che presentavano il quadro citologico di un sarcoma ostiogenico dell'osso. Dopo di che il famoso chirurgo costruì una nuova ala della sua clinica...
Ma in questo modo, stiamo precorrendo un po' i tempi...
Cronicamente sospettosa, Norma scrutava accigliata suo fratello, che gemeva sotto gli ultimi effetti dell'anestesia. Lei disse a Mundin;
«Potrebbe averlo ridotto un idiota. Quale maniera migliore per nascondere i suoi imbrogli?»
Mundin sospirò. Avevano assistito all'operazione: le luci, la disinfezione, la trapanazione. Il lieve odore di bruciaticcio nei frammenti d'osso; la tensione del momento in cui quel disco di cranio si era sollevato. L'inserimento degli aghi anodico e catodico, i minuscoli elettrochoc che avevano sconvolto i suoi schemi di pensiero, confondevano quel ricordo, frantumavano quel riflesso in particelle neuroniche sconnesse. I tre giorni e le cinquanta ore di interminabili esami e domande, le luci fatte guizzare improvvisamente davanti agli occhi di Don, i metri e metri di nastro registratore, il grafico del cervello di Don e del suo funzionamento.
Norvell Bligh, ometto servizievole, mise dentro la testa.
«Sta arrivando il dottore,» disse. E, ometto fedele, riprese il suo posto fuori della porta.
Il professor Niessen, celebre chirurgo, chiese:
«Ancora niente?»
Don scelse proprio quel momento per aprire gli occhi e sorridere a Norma.
«Ciao, sorellina. Adesso va meglio.»
Norma scoppiò in lacrime, e il professor Niessen parve molto sollevato.
«Vuole controllare il blocco?» suggerì il dottore a Mundin; ma Don precedette l'avvocato.
«Le azioni, vuole dire? Tutto a posto. Cassetta di sicurezza numero 27.933, First National Bank di Coshocton. Non c'è chiave. Identificazione: il mio viso, le mie impronte digitali, e una frase chiave: 'Grigia, amico mio, è ogni teoria, e verde è l'albero d'oro della vita'.» Spiegò, allegramente, «Goethe. Papà ripeteva spesso quella frase, dopo che lo avevano buttato fuori. Lo aiutava a rasserenarsi un poco.»
Il professor Niessen annviì, e lanciò un'occhiata agli altri. Norma domandò, balbettando:
«Ti ricordi tutto, Don? Tutto?»
Suo fratello fece una smorfia.
«Eccome! Mi hanno lavorato per cinquanta ore. Cinquanta! E quella parte non voglio ricordarla.»
Il dottore mormorò:
«Barbaro. Qui stiamo violando tutti la legge, ma sono lieto che lei sia venuto da me, in questo caso. Signor Kozloff...» Era il nome sotto il quale Don era entrato nella clinica. «Signor Kozloff, è in grado di verificare la mia congettura, secondo la quale il circuito a lampi luminosi è stato il mezzo principale impiegato?»
«Già. Penso di sì. Se il circuito a lampi luminosi significa il processo di accendermi una luce davanti agli occhi, che mi faceva cadere in preda alle convulsioni. E poi c'erano quegli individui nelle bottiglie.»
«Bottiglie?» domandò il chirurgo, trasalendo.
«Già. Bottiglie. O questo l'ho sognato?»
Il dottore parve preso da una preoccupazione professionale.
«Se è accaduto,» disse, in tono grave, «Lei dovrebbe ricordare. Forse, un'ulteriore serie di...»
«All'inferno!» gridò Don Lavin, e furono necessari gli sforzi di tutti e tre per impedirgli di balzare giù dal letto.
«Smettila, Don,» ordinò Norma. «Professore, lei cosa ne pensa?»
Il professor Niessen si strinse nelle spalle.
«Voi mi dite che il blocco principale è scomparso. Ce ne sono altri? Non saprei. Cinquanta ore di condizionamento sono un periodo molto lungo, e sfortunatamente non possiedo la documentazione di quelle sedute, così non posso sapere cos'abbiano eventualmente impresso in profondità, nella mente, oltre al blocco principale. Potrebbero esserci dei comandi postipnotici, dei blocchi secondari... lo ripeto, cinquanta ore sono molto lunghe.»
«Non è una risposta molto soddisfacente, professore,» disse Norma.
«Devo sottoporlo a una nuova serie completa di esami e interrogatori?» Furono costretti a bloccare di nuovo Don, e il professore proseguì, imperturbabile. «Lo immaginavo. Be', diciamo... se ci sono degli altri inconvenienti, riportatelo qui. È tutto quello che posso suggerire.»
Norma disse, acidamente:
«E immagino che lei costruirà un'altra ala per la sua clinica.»
Il professore la osservò, con aria grave:
«Potrei farlo,» disse. «Immagino di non averle detto che l'ala che intendo costruire, grazie alla generosa donazione che ho ricevuto, sarà destinata a curare gratuitamente tutti coloro che non possono permettersi la spesa di una clinica privata.»
Lei non poté rispondere nulla.
«Ottimamente,» proseguì il professore. «Signor Kozloff, io credo che lei sia guarito dal suo... ehm... tumore. Uno dei nostri medici controllerà se le sue condizioni le permettono già di viaggiare. Torni qui, se si verifica qualcosa di nuovo; in questi casi di spongioblastoma esiste sempre la possibilità che qualche tessuto canceroso ci sia sfuggito. E se le è possibile, signor Kozloff, veda di non portare sua sorella.»
Bligh chiuse la porta, dopo l'uscita del professore. Don guardò amorevolmente Norma.
«Non sei cambiata affatto, Norma... la tua lingua è sempre un po' troppo sciolta, vero?»
Mundin ritornò nel corridoio, per fumare una sigaretta, e sfuggire alla commovente scena della riconciliazione che seguì. Ma poté udirla, anche dall'esterno...
Il direttore della Brinks-Fargo pareva scettico.
«Naturalmente, il nostro è un servizio a noleggio,» disse. «Vediamo... ho capito bene? Elicottero blindato da qui alla First National di Coshocton, prelievo vigilato da una cassetta di sicurezza, e trasferimento immediato a Monmouth, con voi quattro presenti per tutto il viaggio; è così?»
«È così,» disse Mundin.
«Dodicimilacinquecento dollari,» annunciò il direttore, dopo avere fatto un rapido calcolo. «Per il nostro elicottero migliore e più grosso, con sei guardie.»
Venne pagato.
Il prelievo si svolse in maniera cronometrica, e senza ostacoli. Un impiegato condizionato porse loro la cassetta nella quale erano conservati i certificati che comprovavano il fantastico diritto di Don Lavin al venticinque per cento delle Case G.M.L., e Mundin li esaminò, con meraviglia, mentre il pesante furgone-elicottero corazzato viaggiava per le strade di Coshocton. Tre miliardi e mezzo di dollari, continuò a ripetersi per tutto il viaggio. Nessuno parlò molto, durante il breve volo per Monmouth.
Hubble domandò:
«Ha funzionato, Don?»
Coett disse:
«Se quel segaossa non ci fosse riuscito, dopo tutto quello che abbiamo sborsato...»
Nelson disse:
«Quanto è costato?»
«Sto benissimo, grazie,» disse Don Lavin, educatamente.
«E,» aggiunse Mundin, in tono casuale, «Durante il viaggio di ritorno, siamo passati per Coshocton. Non c'è bisogno di perdere tempo con dei duplicati dei certificati, signori.»
Essi esaminarono gli originali con visibile rispetto, e parvero ai sette cieli per la felicità.
«Ci siamo,» esultò Coett. «E ci muoveremo, per la prossima assemblea degli azionisti. Ci sono tre mesi di tempo... tempo più che sufficiente per scuotere la società e raccogliere quanto ci serve per avere la maggioranza. Dio mio, una maggioranza! All'inferno le procure e le deleghe di voto!»
Ci fu una lunga discussione, sulla combinazione delle azioni, e sull'irrevocabile accordo per un'azione comune; e improvvisamente Mundin, guardando i tre titani della finanza, vide dei feroci animali predatori della giungla. Batté le palpebre, e l'illusione si dissolse; ma non riuscì a evitare di pensare che la G.M.L., pur essendo così rapace, era un mastodontico e inoffensivo vegetariano, pungolato da piccoli carnivori dai denti aguzzi. Anche Norma dovette avvertire qualcosa, perché esclamò:
«Papà non avrebbe mai voluto...» Si controllò, tacque, e guardò per un momento i cospiratori, con aria smarrita. Poi disse, stancamente, «Ah, all'inferno. Scusatemi tutti. In ogni caso, io non voto.» E uscì dalla stanza.
«E ora,» disse Coett, che non si era neppure accorto dell'uscita di Norma, «È possibile che, mentre noi mandiamo in fallimento la G.M.L., Green, Charlesworth possano interessarsi alla vicenda. Non suppongo che questo sia verosimile. Ma nel caso dovessero farsi sentire, Charles, non provi neppure a trattare la cosa da solo. La passi a noi. D'accordo?»
«D'accordo,» disse Mundin. Green, Charlesworth. Assicurazioni e banchieri dei banchieri. Strano, come il loro nome continuasse a spuntare qua e là, nelle pieghe della situazione. «È l'unica cosa della quale dobbiamo preoccuparci, adesso... Green, Charlesworth?»
«No,» disse Coett, con aria sincera. «Si tratterà di una lotta lunga e durissima, Mundin. Manovrare un fallimento è molto insidioso, anche quando si tratta di una società relativamente piccola. In questo caso, poi...»
«Siete tutti decisi a portare avanti l'idea del fallimento? Non potremmo manovrare le nostre azioni, con il voto, o con altre operazioni sul mercato?»
«Se esiste qualcosa che può attirare su di noi Green, Charlesworth,» disse, in tono tremante, Coett, «La soluzione che lei propone è l'ideale. No, no, Mundin. Semplice ricatto, corruzione, fallimento, rovina... non disturbiamo il can che dorme. Manteniamoci nei limiti di sicurezza.» Il suo volto era pallidissimo. Ma Mundin non vi fece troppo caso, perché aveva un'altra preoccupazione.
Si rivolse a Don:
«Che cosa aveva Norma?»
«Non ci pensi,» disse Don. «Papà voleva questo, papà ha dato la sua vita per quest'altro... non ci pensi. Secondo Norma, l'invenzione di papà è un'eredità sacra che ci è stata affidata, e che noi dobbiamo usare per il bene comune.» Sorrideva amichevolmente, ma i suoi occhi erano strani, e non molto diversi da prima che il professor Niessen avesse tolto il condizionamento. «Lei chi preferisce, nella Giornata dei Giochi?» domandò, cupamente.
CAPITOLO XVIII
Mundin disse:
«Deve fare molta attenzione. Non dica assolutamente che lei rappresenta la G.M.L. Lei rappresenta, semplicemente, un socio d'affari.»
«Capisco, avvocato Mundin,» disse Norvell Bligh.
Mundin si accigliò, preoccupato.
«Se potessimo almeno uscire allo scoperto, invece che continuare in questo ridicolo fumettone di cappa e spada. Be', la situazione è questa, e non possiamo farci niente. È sicuro di avere capito tutto esattamente?»
«Sicurissimo, avvocato Mundin,» disse Norvie. Sostenne lo sguardo dubbioso dell'avvocato e, incredibilmente, gli strizzò l'occhio. «Amico, vedrà che li faremo ballare sulla corda!», disse, e uscì.
Più tardi, nell'anticamera dell'ufficio privato di Candella, nella Generale Ricreativa & Educativa, Norvie non si sentì più così sicuro. Quello era l'ufficio nel quale lui aveva vissuto tante giornate difficili; quelle erano le stanze nelle quali il giovane Stimmens gli aveva tagliato la gola; quella era la porta dalla quale Candella lo aveva cacciato a calci.
Ma la segretaria elettronica chiamò Candella, e Norvell si sentì di nuovo sicuro.
Candella arrivò precipitosamente dal suo ufficio, con un sorriso amichevole e festoso incollato sul viso.
«Norvie, ragazzo mio!» gridò, giovialmente. «Accidenti, ma che piacere rivederla! Dove diavolo si era cacciato? Come va la vita?»
Norvell disse, seccamente:
«Buongiorno, Candella.» Permise a Candella di sfiorargli la mano, poi la ritirò immediatamente, con aria gelida.
«Bene,» disse Candella, con aria cordiale. «Uh, bene, bene!»
Norvie disse:
«Sarò breve. Lei ha ricevuto il mio messaggio.»
«Oh, certo, Norvie. Sì, certo, lei è qui per...» si guardò intorno, rapidamente, e disse, a bassa voce, «Per la G.M.L.»
«Parli forte, Candella,» disse seccamente Norvell. «Sì, sono qui per la G.M.L. Non ufficialmente, badi. Assolutamente, non ufficialmente.»
«Naturalmente no, Norvie!»
Norvell annuì.
«E ho la sua promessa di mantenere il più rigoroso riserbo su quanto le dirò?»
«Oh, certo, Norv...»
«Nemmeno una parola? A nessuno?»
«Naturalmente n...»
«Bene. In breve, Candella, abbiamo avuto dei reclami.»
Candella conservò il sorriso, ma fu come il ghigno di qualche orribile malattia nervosa.
«Reclami?»
«Oh, non su di lei. Non ho la minima idea sul modo in cui lei sta svolgendo il suo lavoro, adesso, e in ogni caso,» disse Norvell, severamente, «Questo non avrebbe nulla a che vedere con la G.M.L. I miei colleghi non penserebbero mai d'interferire negli affari privati di un'altra società.»
«Naturalmente!» assentì Candella.
«I reclami riguardano le case a bolla, Candella. Uno dei miei colleghi è un grosso azionista della G.M.L. Abbiamo sentito... be', delle notizie. Sarò sincero con lei; non siamo riusciti a risalirne all'origine. Ma sono allarmanti, Candella; molto allarmanti. Così allarmanti che io non posso ripeterle, e neppure fornirle qualche indizio sul loro contenuto. Questo lo capisce, vero?»
«Certo, signor... certo, Norvie!»
Norvell annuì.
«Posso solo farle un paio di domande, senza darle alcun indizio sul motivo per cui le faccio. Le ventottomila case a bolla che la Generale Ricreativa mette a disposizione dei suoi dipendenti sono, quasi esclusivamente, occupate da coppie di coniugi, mi sembra. Quanti, di questi matrimoni, sono sterili? E, tra quelli dai quali sono nati dei figli, nelle case a bolla, qual è la percentuale dei bambini nati con qualche malformazione?»
Gli occhi di Candella parevano laghi di curiosità.
«Io... non saprei dirlo così, immediatamente,» fece. «Però...»
«Naturalmente,» disse Norvell, spazientito. «Non voglio neppure che lei rivolga delle domande dirette. Non ha senso iniziare a spargere delle voci che potrebbero sfuggire a ogni controllo. Ma se lei riuscisse a scoprirlo... con discrezione... le sarei molto grato se volesse informarmi.» Produsse il biglietto da visita più lussuoso ed elaborato che la tipografia alla quale si era rivolto Mundin avesse mai realizzato. «Questo è il mio numero. Ricordi, non le offro alcun compenso... non sarebbe onesto. Ma questa collaborazione verrebbe molto apprezzata da me e dai miei colleghi. E noi sappiamo mostrare la nostra riconoscenza, Candella. Arrivederci.»
Fece un breve cenno di congedo. Candella esclamò:
«Ehi, Norvie! Non... Non se ne vada così! Non può rimanere un poco con noi, a pranzo, o almeno per bere qualcosa?»
«Spiacente. Temo che sia impossibile.»
Candella disse, precipitosamente:
«Ma, accidenti, Norvie, eravamo tutti ansiosi di rivederla! Stimmens, in particolare... non saprei cosa dirgli, se lei non rimanesse a pranzo con noi!»
Norvell corrugò la fronte.
«Stimmens,» disse, pensieroso. «Oh, Stimmens. Spiacente, Candella. Ma la prego di presentare i miei ossequi alla signora Stimmens, e dirle che penso spesso a lei.»
E se ne andò.
La giornata di Norvell era molto intensa. Il suo programma comprendeva la Generale Ricreativa, Hussein, e una buona dozzina di bar a Monmouth Città. Verso sera era stanchissimo, soddisfatto, e ubriaco al settantacinque per cento. Si avvicinò allora alla sua ultima destinazione con una mescolanza di tristezza, di collera, e di nostalgia.
Arnie Dworcas lo fece subito entrare.
Norvie non tentò nessuno dei trucchi che aveva usato con Candella, nei confronti di Arnie Dworcas; lui era il vecchio, vero amico di Norvell, il timido discepolo. Seduto là, davanti ad Arnie, ascoltando le spiegazioni che Arnie dava sugli affari del mondo, a Norvell parve che Torcibudella fosse soltanto un incubo, e Mundin una figura uscita da un sogno; nulla era cambiato; nulla sarebbe mai cambiato, fino a quando lui avesse potuto sedere davanti ad Arnie, bevendo la sua solita birra.
Ma c'erano stati dei cambiamenti...
Arnie vuotò il suo bicchiere di birra, si asciugò le labbra, e girò il disco, e il bicchiere si riempì di nuovo.
«No, Norvell,» disse, con aria pensierosa. «Non direi che tu abbia avuto successo. Per lo meno, non nel senso che Noi Ingegneri diamo alla parola successo. Per Noi Ingegneri un meccanismo... e tutti noi siamo dei meccanismi, Norvell, io, tu, tutti... un meccanismo è un successo quando funziona al massimo della sua efficienza. Francamente, nel piccolo esperimento tentato suggerendoti di tentare la vita a Torcibudella, cercavo di operare quello che noi chiamiamo, in linguaggio tecnico, 'collaudo distruttivo'... l'unica maniera nella quale sia possibile determinare la massima efficienza. Ma che cosa è accaduto? Tu non ti sei sollevato grazie ai tuoi sforzi, Norvell. Per pura combinazione, hai stabilito dei contatti, e ora sei il segretario di un uomo veramente capace.» Sorseggiò la birra, con aria di rammarico. «Per usare un'analogia,» disse, «È come se il mio regolo dovesse ottenere tutto il merito per i calcoli che io faccio su di esso.»
«Mi dispiace, Arnie,» disse Norvell. Era molto difficile stabilire se lui desiderava maggiormente ridere in faccia ad Arnie, o rompergli i denti servendosi del bicchiere vuoto. «Il signor Mundin ha grande considerazione per te, e anche per tuo fratello, sai.»
«Naturalmente,» disse Arnie, severamente. «È una delle cose che tu devi ancora imparare. Gli uguali si attirano, nelle relazioni umane come nel campo dell'ettrostatica.»
«Credevo che, in elettrostatica, gli uguali si respingessero...»
«Eccolo!» esclamò violentemente Arnie. «Il profano! L'orecchiante! Sono le persone come te che...»
«Scusami, Arnie.»
«Va bene. Non prendertela tanto. Le persone veramente capaci non perdono mai l'autocontrollo, Norvell! È stupido, da parte tua, turbarti fino a questo punto!»
«Mi dispiace, Arnie. È proprio quello che dicevo al signor Mundin.»
Arnie, che stava alzando il bicchiere, irritato, fermò il gesto a metà.
«Che cosa dicevi al signor Mundin?» domandò, sospettoso.
«Be', che tu non perdi mai l'autocontrollo, in qualsiasi situazione, neppure nel caso di emergenza più drammatico. Che tu saresti l'uomo più in gamba, per dirigere... oh, Dio, Arnie, non avrei dovuto dire niente!» Norvell si nascose il volto tra le mani, umilmente.
Arnie Dworcas disse, rigidamente:
«Norvell, smettila di balbettare, e vieni al punto! A dirigere che cosa?»
Norvie, che aveva dovuto vincere un impulso al vomito, abbassò le mani dalla bocca. Disse:
«Be', be'... non è che io non possa fidarmi di te, Arnie. Vedi, si tratta... si tratta della G.M.L.»
«Cosa c'entra la G.M.L.?»
Norvie disse, rapidamente:
«È troppo presto per dire qualcosa di definitivo, e, per favore,Arnie, non lasciarti sfuggire una sola parola. Ma avrai sentito le voci che corrono sulla G.M.L., naturalmente.»
«Naturalmente!» disse Arnie, anche se la sua espressione era perplessa.
«Il signor Mundin è associato alla... be', alla banda di Coshocton, Arnie. E si sta guardando intorno, con discrezione, sai, cercando degli uomini che possano sostituire quei vecchi decrepiti, nelle posizioni chiave. E io mi sono preso la libertà di suggerirgli il tuo nome, Arnie. L'unica cosa è che il signor Mundin non sa molto sul lato tecnico, vedi, e non sapeva quale fosse la tua esperienza nel campo.»
«Tutte le mie qualifiche si trovano nei periodici professionali, Norvell. Non che io mi senta disposto a discuterne in maniera così informale, naturalmente, in nessun caso.»
«Oh, naturalmente! Ma quello che mi ha chiesto il signor Mundin era... be', semplicemente, su quanti modelli di Case G.M.L. hai lavorato... numeri di serie, ubicazione, e così via. E ho dovuto dirgli che tutte le informazioni erano archiviate, e segrete, e che tu non avresti mai potuto procurartele.»
Arnie scosse il capo, con aria stupita.
«Profani,» disse. «Norvell, non c'è alcun motivo al mondo per cui io non potrei procurarmi dei microfilm, su tutte quelle informazioni. Sono solo le beghe societarie, e la burocrazia, che provocano tanti inconvenienti; Noi Ingegneri siamo abituati a non tenere conto della burocrazia, e viviamo in mezzo ai segreti.»
Norvell assunse un'espressione di adorazione.
«Vuoi dire che tu... puoi farlo?» gridò.
«L'ho già detto, no? Si tratta soltanto di consultare gli archivi, e di scegliere le unità sulle quali ho lavorato; poi di riprodurre quei dati in microfilm, e...»
«Meglio microfilmare tutto,Arnie,» suggerì Norvell. «Questo permetterà al signor Mundin di comprendere il Grande Quadro.»
Arnie si strinse nelle spalle, con aria allegra:
«E perché no?»
«E non dimenticare i numeri di serie,» disse Norvell.
Norvell trovò Mundin da Hussein, a tarda notte, secondo gli accordi precedenti, e fece il suo rapporto.
L'espressione di Mundin cominciò a distendersi.
«Finora,» disse, «Tutto bene. E anch'io ho fatto i miei giri; e immagino che anche Hubble, Coett e Nelson stiano lavorando secondo i piani. Beviamo qualcosa, adesso.»
«No, grazie,» disse Norvell Bligh. «C'è molta strada da fare, per arrivare a Torcibudella, e mia moglie è sola in casa, a parte la bambina.»
Mundin disse:
«Senta, Bligh, perché è così deciso a rimanere a Torcibudella? Se si tratta di una faccenda di denaro...»
Norvie scosse il capo.
«Lei mi sta già pagando più che a sufficienza. Per dire la verità, Torcibudella comincia a piacermi. Finché sono là per libera scelta, e non vi sono costretto,la situazione ha degli aspetti piacevoli.»
«Davvero?» domandò Mundin.
Norvie rise.
«Forse non molti. Comunque, rimarrò là per un po'; ed è meglio che vada. I Coniglietti dovrebbero sorvegliare la casa, in teoria, ma non hanno molta considerazione per Sandy... la mia bambina... e non è bello che non ci sia un uomo in casa, di notte.»
Un vago ricordo si agitò nella mente di Mundin.
«Credevo che lei avesse una specie di guardia del corpo.»
«Chi? Vuole dire Shep? Non lavora più per me.» L'espressione di Norvie era indecifrabile. «Ha avuto un incidente, con un tubo di piombo.»
CAPITOLO XIX
L'insegna, sulla porta, diceva:
RYAN & MUNDIN
Avvocati
L'ufficio occupava un intero piano di uno splendido edificio.
Del Dworcas trasse alcuni profondi, lunghi respiri, prima di aprire la porta e di annunciarsi a un'impiegata bionda tutta curve. Uno dei piccoli piaceri ai quali Mundin si abbandonava in quei giorni, quando ne aveva il tempo, era di dire personalmente ai rappresentanti di apparecchi automatici da ufficio quello che potevano farsene, della loro merce.
«Si sieda, la prego, signor Dworcas,» tubò la bionda. «L'avvocato Mundin mi ha chiesto di avvertirla che sarà lei la prima persona che riceverà.»
Questa dichiarazione attirò su Dworcas lo sguardo astioso della dozzina o più di individui che aspettavano nell'anticamera. Però, essendo un buon uomo politico di professione, egli non ebbe difficoltà a intavolare una conversazione con quelli che si trovavano vicino a lui. Uno era un petrolchimico, che riteneva di avere buone possibilità di lavorare come consulente presso la Ryan & Mundin. Un altro era un giovane e brillante rappresentante di una casa editrice, che riteneva sensazionale la storia del grande ritorno del vecchio Ryan sulle scene legali, e che desiderava assicurarsene i diritti. Gli altri erano abbastanza facili da catalogare... un paio di pazzoidi, due avvocati che evidentemente speravano di potersi associare al nuovo studio, più un gruppetto di persone che dovevano avere bisogno di un avvocato, e che si erano improvvisamente messi in testa di affidarsi a Ryan & Mundin, e a nessun altro. Nessuno, nella sala d'attesa, pareva avere alcuna idea su quello che si svolgeva nel resto dell'immenso appartamento, sempre che qualcosa vi si svolgesse.
Dworcas... essendo un politico di professione... riuscì ad assorbire delle informazioni, a pomparne altre, a valutare quanto aveva udito, e a speculare sul suo significato. Ma le risposte erano vaghe e nebulose. Una sola cosa riuscì a sapere con certezza: lo studio Ryan & Mundin stava salendo con la rapidità di un razzo; e molti astuti e smaliziati operatori commerciali stavano cercando di agganciarvisi.
Finalmente l'impiegata gli fece un cenno. Un uomo giovane, dal viso duro, inconfondibilmente un Am-Arabo, che recava un distintivo con la scritta GUIDA, lo prese in consegna.
Ryan & Mundin lavoravano nel più straordinario studio legale che Dworcas avesse mai visto, in tutta la sua vita. Studio legale... completo di eccentricità come un laboratorio chimico, cucine, zone di abitazione e studio televisivo, stanze chiuse alla sua vista, e stanze aperte il cui aspetto non aveva alcun senso comune, almeno agli occhi di Dworcas.
Dworcas disse, tentando di intavolare un discorso:
«Lei deve essere fiero di lavorare per il signor Mundin. Naturalmente lei conosce la carriera politica dell'avvocato nel nostro partito, nel 27° Distretto... un vero difensore dei diritti degli arabi.»
«Bello,» disse la guida. «Da questa parte, signore.» Guidò Dworcas in una specie di cabina, che si illuminò di una scintillante luce viola; l'arabo controllò per un momento uno schermo fluoroscopico. «Lei è pulito,» disse. «Entri da quella porta.»
«Mi ha perquisito!» sbalordì Dworcas, offeso. «Me! Uno dei più vecchi amici del signor Mundin!»
«Bello,» disse l'Am-Arabo. «Quella porta, prego.»
Dworcas varcò quella porta.
«Ciao, Del,» disse Mundin, distrattamente. «Che cosa vuoi?» Stava controllando le voci di una lista; disse, «Scusami,» e sollevò il microfono di un intercom. Cinque minuti più tardi lo posò di nuovo, diede un'occhiata a Dworcas, e affrontò un'altra lista.
Dworcas, in tono flautato, disse:
«Charles...»
E aspettò.
Mundin lo guardò, con un'espressione che tradiva il fastidio.
«Be'?»
Dworcas agitò un dito verso di lui, sorridendo.
«Charlie, non ti stai comportando bene con me. No davvero,» disse.
«Oh, all'inferno,» disse Mundin, stancamente. «Senti, Del. Sono molto occupato. Ho da lavorare. Cosa vuoi?»
Dworcas disse:
«Hai un bellissimo studio. Te l'ha procurato la G.M.L.?»
«Tu cosa ne pensi?»
Dworcas trattenne un sorriso.
«Ricordi chi ti ha messo in contatto con la G.M.L.?»
«Oh, accidenti, in questo hai ragione,» concesse Mundin, malvolentieri. «Non ti servirà a molto, però. Non ho tempo per fare dei piaceri. Un'altra volta ti ascolterò meglio.»
«Voglio che tu mi ascolti adesso, Charlie. Voglio impegnarti per il Comitato della Contea.»
Mundin spalancò gli occhi.
«Vuoi che lavori per il Comitato della Contea?»
«Lo so che sembra una cosa piccola. Ma può condurti a grandi cose, Charlie. Tu puoi arrivare lontano. E non pensi a noi, Charlie? Tu sei debitore a me... al partito... a tutti noi di qualcosa, perché siamo stati noi a metterti in contatto con i Lavin. È questo il momento di abbandonarci? Non sono così orgoglioso da non poter supplicare, se ci sono costretto. Sii fedele al Partito, ragazzo!»
Non funzionava.
«Spiacente, Del,» disse Mundin.
«Charlie!»
Mundin sembrò esasperato.
«Del, vecchio imbroglione,» disse. «A che cosa diavolo stai mirando ora? Non ho niente da venderti... anche se la tua offerta fosse maggiore di quella dei miei clienti. Ed è impossibile.»
Dworcas si fece avanti, e il suo volto era completamente cambiato.
«Ti avevo sottovalutato, Charlie,» ammise. «Ti dirò la verità, lo giuro davanti a Dio. No, non c'è niente, per il momento, questo è vero. Ma... sta bollendo qualcosa in pentola. Ne sento l'odore, Charlie. E non sbaglio mai, in faccende del genere. Lo sento nelle ossa.»
Ora era riuscito a ottenere tutta l'attenzione di Mundin.
«Che cosa senti?»
Dworcas scrollò le spalle.
«Piccole cose. Jimmy Lyons, per esempio. Lo ricordi? Il fedelissimo del capitano, al distretto?»
«Certo.»
«Non lo è più. Il capitano Kowalik lo ha trasferito a Torcibudella. È stato già accoltellato due volte. Perché? Non so perché, Charlie. Jimmy era un bastardo, sicuro; se lo meritava. Ma perché è accaduto? E cosa sta succedendo a Kowalik? Sta dimagrendo a vista d'occhio. Non riesce a dormire di notte. Gli ho chiesto il perché, e lui non ha voluto dirmelo. Così l'ho chiesto a qualcun altro, e ho scoperto la verità. Il problema di Kowalik è che il commissario Sabbatino non gli rivolge più la parola.»
«E cosa sta succedendo a Sabbatino?» Mundin stava giocherellando con una matita.
«Non scherzare con me, Charlie. Il guaio di Sabbatino ha un nome e un volto... un certo signor Wheeler, che un giorno è andato da lui e ha avuto una lunga, lunghissima conversazione. Non so cosa si siano detti. Ma so un'altra cosa, Charlie. So che Wheeler lavora per Hubble, e Hubble è uno dei tuoi clienti.»
Mundin posò la matita sul tavolo.
«E cos'altro c'è di nuovo?» domandò.
«Non scherzare, Charlie. Io non ti ho mai ingannato... be', sai, non molto. Non scherzare. I ragazzi del 27° sono sconvolti. Sta correndo voce che tutti gli arabi verranno trasferiti in Case G.M.L. A loro l'idea non piace... soprattutto ai vecchi. Ad alcuni, tra i giovani, l'idea piace, invece, così ci sono delle liti continue nelle famiglie. Ogni giorno, ogni notte, si sentono delle grida e delle liti, e a volte le risse finiscono a coltellate. Una dozzina di chiamate per sedare delle risse in un solo giorno, nel 27°. Così ho chiesto notizie a mio fratello Arnie, che è ingegnere alla G.M.L. Tu lo conosci, sai che razza di tonto è. Ma perfino lui sente che c'è qualcosa nell'organizzazione. Che cosa?»
Un tipo dall'aria di segretario... trasalendo, Dworcas riconobbe l'amico di suo fratello, Bligh... mise dentro la testa.
«Mi scusi, avvocato, ma hanno telefonato dalla terrazza di atterraggio; l'elicottero per Washington la sta aspettando.»
«Accidenti,» disse Mundin. «Senti, Norvie, ringraziali, e chiedi se mi possono concedere altri cinque minuti. Sarò libero tra un momento.» Lanciò un'occhiata a Del Dworcas.
Dworcas si alzò.
«Sei molto occupato. Un'ultima cosa. Che cosa volevi da mio fratello Arnie?»
Mundin si alzò, pensieroso e calmissimo, il perfetto modello di un uomo che sta cercando di ricordare la risposta di una domanda priva d'importanza, per amore della cortesia.
«Non importa,» disse Dworcas. «Te lo chiederò un'altra volta. Voglio solo ricordarti che io sono leale con te.»
«Arrivederci, Del,» disse Mundin, cordialmente.
«Grazie, Norvie.» disse Mundin qualche istante più tardi. «Sei stato pieno di tatto. Chissà cosa voleva dire, con quella allusione ad Arnie.»
«Immagino che Arnie gli abbia detto che sono stato a trovarlo.»
Mundin annuì, pensieroso.
«Be', all'inferno. Andiamo nell'ufficio di Ryan. Sarà meglio che ci affrettiamo; l'elicottero deve partire davvero tra venti minuti.»
Ryan, come al solito, stava sonnecchiando con grande dignità alla sua scrivania. Aveva un buon aspetto, tutto considerato. L'oppio gli veniva diluito e razionato, negli ultimi tempi; ed egli accettava quelle restrizioni di buon grado. «Una volta che si sa di poterlo avere, si può anche rifiutare per parecchio tempo,» diceva. Di conseguenza, il suo abilissimo cervello si era schiarito, ed egli era in grado di lavorare anche per un'ora consecutiva. Aveva sviluppato personalmente quasi tutti ì settantotto passi fondamentali per fare crollare la G.M.L., e assumerne successivamente il controllo.
Mundin gli riferì scrupolosamente la conversazione avuta con Del. Ryan si fregò le mani.
«In effetti, i passi dall'uno al ventiquattro si stanno svolgendo perfettamente, no?» disse, raggiante. «La G.M.L., una delle colonne del nostro sistema, un monumento nel quale è impossibile non avere fiducia, comincia a cigolare lievemente per la prima volta; cominciamo già ad avvertire l'inquietudine che farà crollare l'intera costruzione.»
Mundin diede un'occhiata a un messaggio ricevuto per telescrivente, e lo porse a Ryan.
«Questo si collega perfettamente alla storia di Princeton, suppongo,» disse, senza entusiasmo. «Quell'articolo sulla tesi di laurea sui Problemi dell'Abitazione: Un'investigazione sui Pericoli Potenziali di un Sistema a Clima Controllato.»
Ryan annuì.
«Sono i primi effetti,» disse. «La gente comincia a mettere in dubbio quello che non aveva mai pensato di mettere in dubbio prima. Ma Dworcas è molto più indicativo. Nessun sondaggio della pubblica opinione è più sensibile del giudizio di un politico professionista.» Ridacchiò. «Un piacevolissimo alone di dubbio e confusione. Le voci che si diffondono, sulla possibilità che vivere nelle Case G.M.L. produca la sterilità, e stato un tocco da maestro. L'idea è stata tua, ragazzo mio, e sono lieto di dartene il merito.»
Mundin disse, cupamente.
«Meraviglioso. Dubbio e confusione. E coltellate tutte le sere, nel 27° distretto.» Si pentì subito dell'osservazione, quando vide la faccia del vecchio. «Mi scusi, signor Ryan...»
«No, no.» Ryan esitò. «Ricordi le condizioni nelle quali mi hai conosciuto?» Mundin ricordava bene. «In parte la colpa era di Green, Charlesworth... e in parte la colpa era della mia coscienza. Non lavorare troppo, Charles... e non lasciarti prendere dai dubbi...»
Il volo per Washington si svolse a bordo di un elicottero ronzante, che portava soltanto Mundin e Bligh. Mundin disse, preoccupato:
«Dovremmo avere un paio di apparecchi privati. Il territorio da coprire sarà sempre più vasto. Vuoi mettere qualcuno al lavoro su questo problema, Norvie?»
Bligh prese un appunto.
Mundin domandò:
«Che cosa puoi dirmi del fratello di Del? Non possiamo aspettare troppo. Dobbiamo avere quei numeri di serie, altrimenti il lavoro di oggi... e l'intero piano... andranno in briciole.»
«Domani va bene?»
«Bene, bene,» disse Mundin, sempre più depresso. Prese una valigetta, l'aprì, sfogliò fascicoli di rapporti che avrebbe dovuto leggere da tempo, dei promemoria che avrebbe dovuto firmare, degli appunti che avrebbe dovuto sviluppare. Nervosamente, infilò di nuovo tutti i fascicoli nella valigetta.
Incredibilmente, Bligh disse:
«Crisi di coscienza, eh, Charles?» E gli strizzò l'occhio.
Mundin disse, cupamente:
«Non cercare di sollevarmi, Norvie. Non hai idea di quello che si prova. Tu non hai la responsabilità che ho io.» Gettò in un angolo la valigetta. «Senti, che ne diresti di chiacchierare un poco? Non è necessario che io continui a comportarmi come un bastardo, fino a quando non saremo al Museo. Come vanno le tue cose?»
Bligh rifletté per un momento.
«Bene, direi,» fece. «Virginia è incinta.»
Mundin restò sinceramente scosso.
«Oh, Norvie, come mi dispiace!» esclamò. «Spero che non farai delle sciocchezze...»
Bligh sogghignò.
«Oh, no, niente del genere, non è come lei pensa,» disse, allegramente. «Il bambino è mio. La prima cosa che ho fatto è stata quella di trascinarla da un immunochimico per accertarmene. Per fortuna è andata così; altrimenti, le avrei rotto il collo.» Fece una pausa, e aggiunse, «E come va la sua ragazza?»
«Eh?»
«Norma. O Lavin, come preferisce.»
«Oh, no, Norvie. Ti sbagli di grosso. Non ci possiamo sopportare a vicenda, e poi...»
«Sicuro, capo,» disse Bligh, in tono persuasivo. «Senta, Charles, non potremmo aumentare il compenso ai Coniglietti? Lana ha accennato alla cosa, con una certa insistenza. E la mia bambina dice che stanno facendo davvero un buon lavoro.»
«Perché no? E come se la cava la tua figliastra, a proposito?»
Bligh sorrise.
«Sono quasi orgoglioso di lei. È ritornata a casa per cinque giorni di fila piena di lividi. Il sesto giorno, non aveva neanche un segno. Adesso è una Capo Tana dei Coniglietti. Ed è diventata obbediente, e mi chiama 'signore'.»
Mundin ebbe un lampo d'ispirazione.
«Ah. È per questo, allora, che continui a vivere a Torcibudella?»
Bligh si mise sulla difensiva.
«Be', diciamo, forse in parte è anche per questo. Ma in realtà c'è qualcosa da dire in favore di Torcibudella. Quando si riesce a installare un serbatoio per l'acqua, e un generatore, e si ripara la casa... be', la vita diventa degna di essere vissuta. C'è animazione.» La sua voce risuonava di orgoglio civico. «Mi considerano uno dei capi della comunità, Charles. Siamo riusciti a organizzare un vero e proprio corpo di polizia volontaria, nel nostro quartiere... non una delle solite squadracce di ricattatori. E inoltre...»
Mundin, sorridendo, disse:
«Chissà? Un giorno Norvell Bligh potrebbe diventare il primo sindaco della Nuova Torcibudella!»
L'ometto impallidì, improvvisamente. Cominciò ad armeggiare con il suo apparecchio acustico.
«Be', mi prenda in giro, se vuole,» disse, lentamente. «Il fatto è che loro mi stimano, e io faccio qualcosa per loro, piccole cose, naturalmente, ma almeno è qualcosa. E bisogna fare qualcosa per quei milioni di paria. Dall'interno, Charles! Io sono un ometto un po' buffo, e sono sordo, e quando le ho detto che Virginia era incinta, lei ha pensato, automaticamente, che mi avesse messo le corna. Ma che cosa sta facendo lei per Torcibudella, grand'uomo?»
Mundin arrossì, e fece per scusarsi; ma Bligh gli fece segno di non dire niente.
«Non importa,» disse. «Ecco Washington.»
Il Museo dell'Associazione Nazionale degli Edificatori del Sogno Americano era il residuo di una campagna di relazioni pubbliche da molto tempo dimenticata, con l'aggiunta del tentativo di sfuggire alle tasse giustificando, nella denuncia dei redditi, la notevole spesa come una donazione senza scopo di lucro. I furbastri che avevano convinto gli uomini d'affari a impegnarsi nell'impresa non esistevano più; la grande campagna pubblicitaria era morta, sepolta e dimenticata; ma che cosa si poteva fare di un edificio di granito, pieno di rottami, di professori e di custodi? Si poteva ignorarlo, e continuare a dedicarsi ai propri affari sensati. Mundin ricordò tutto questo, quando entrò nella spoglia, povera anticamera dell'ufficio del direttore.
Il segretario grinzoso del direttore disse ai signori di Monmouth:
«Il dottor Proctor è una persona molto occupata. Dovete tornare indietro, e telefonare per avere un appuntamento.»
Mundin disse, gentilmente:
«La prego di dire al direttore che la nostre visita riguarda una notevole donazione. Non prevediamo di trattenerci a lungo in città...»
Il direttore uscì di volata dal suo ufficio, raggiante.
L'avvocato si presentò.
«Dello studio legale Ryan & Mundin,» spiegò.
«Ma certo, certo, signor Munsen! Anche qui, anche nel nostro remoto angolo del mondo, in questo tempio della scienza, conosciamo bene il nome del suo famoso studio! Si potrebbe sapere il nome del...»
«Dolente.»
«Oh, capisco, capisco perfettamente, signor Munchkin! E, ehm, l'ammontare?...»
«Dipende,» disse Mundin, con fermezza. «Il mio cliente mi ha ordinato di ispezionare il museo, e di riferirgli quali reparti sembrano più meritevoli di una sovvenzione.»
«Ah! Mi conceda allora l'onore di farle da guida, signore. Proprio da questa parte c'è la collezione dei Celenterati...»
Mundin disse, gentilmente:
«Penso che preferiremmo vedere per prima la Sala dei Basilari.»
Il dottor Proctor per poco non scosse il capo. All'ultimo istante riuscì a dominarsi, e si limitò ad assumere un atteggiamento confidenziale.
«Roba per il pubblico comune,» disse, dando una lieve gomitata a Mundin. «Semplici congegni, semplice tecnica. Aggeggi e carabattole, eh? Non è roba importante,anche se forse riveste qualche limitato interesse per i sociologi, gli ingegneri, e tutta la loro genia di quasi-scienziati. Ora, la nostra Collezione dei Celenterati, che si trova proprio...»
«La Sala dei Basilari, prego?»
«Signor Monkton! È una trappola per i turisti, le assicuro. Mentre i Celenterati... che, dovrei aggiungere, sono anche la mia specialità...»
Mundin disse, mestamente:
«Norvell, temo che il dottor Proctor non sia realmente interessato alla donazione del nostro cliente.»
Bligh disse:
«Peccato. Be', fortunatamente l'elicottero ci sta aspettando.»
Il dottor Proctor balbettò qualcosa, e li guidò alla Sala dei Basilari. Essi esaminarono gravemente l'arcolaio, la prima macchina per cucire, il primo telegrafo, il primo telefono, il primo aeroplano, la prima Ford modello T, la prima pila atomica, la prima G.M.L., il primo segmento della Cintura di Trasporto.
Si fermarono davanti alla casa a bolla G.M.L., sorridendo radiosi, con aria di approvazione... tutti, a eccezione del dottor Proctor. C'erano alcuni turisti, intorno a essa. Ci volle un minuto, prima che essi si avvicinassero quanto bastava per leggere la targa.
N. 342371
LA PRIMA CASA G.M.L. COSTRUITA
Donata dal signor Hamilton Moffat,
Padre della Casa a Bolla.
* Questa Casa G.M.L., trasferita nel Museo dal suo luogo d'origine, Coshocton nell'Ohio, venne fabbricata nello stabilimento di materie plastiche di Donald Lavin. I circuiti elettronici e i meccanismi sono stati progettati e installati da Bernard Gorman. È rimasta in funzione per più di cinquant'anni, senza mostrare segni di usura o di cattivo funzionamento. Chimici e Ingegneri ritengono che, senza alcuna manutenzione, essa possa durare per almeno altri mille anni, costituendo così un monumento praticamente imperituro al genio immortale di
HAMILTON MOFFATT
«Davvero,» mormorò l'avvocato. «Non si sa mai.» La piccola folla di turisti si stava assottigliando, e il direttore, con aria cupa, fece per accompagnarli all'interno della casa a bolla.
«Al diavolo,» disse Mundin. «Torniamo nel suo ufficio.»
Nell'ufficio privato del dottor Proctor, Mundin guardò la piccola polverosa e sospetta bottiglia che il direttore aveva estratto dal portaombrelli, e rabbrividì. Disse, con decisione:
«No, niente da bere, dottor Proctor; credo di poterle dichiarare in via definitiva che il mio cliente avrebbe interesse a donare un fondo di centomila dollari, fondo che dovrà venire diviso, a sua discrezione, tra la Sala dei Basilari e la Collezione dei Celenterati.»
«Dio Onnipotente!» Il dottor Proctor si lasciò andare nella sua sedia, stringendo la bottiglia, con il volto tutto sorrisi. «Dio Onnipotente! È sicuro di non volere... nemmeno un goccio... no? Forse, sa, forse un goccetto lo berrò io, per festeggiare l'avvenimento. Una decisione molto saggia, signore! Le assicuro che è molto insolito trovare un profano che, come lei, possa subito intendere il significato ecologico e l'eccitante morfologia dell'umile celenterato!» Versò il contenuto della bottiglia in un polveroso bicchiere da acqua, e lo alzò, in un brindisi. «Ai Celenterati!» esclamò.
Mundin aveva aperto la sua valigetta. Ne estrasse un assegno, già compilato, un documento dattiloscritto in duplice copia, e un barattolo piatto che gorgogliava.
«Ora,» disse, in tono pratico, «Stia molto attento, dottore. Lei personalmente dovrà diluire il contenuto di questo barattolo in un quarto di comune acqua del rubinetto. Riempia col contenuto un normale spruzzatore da giardino, e spruzzi la soluzione sulla Casa G.M.L. che si trova nella Sala dei Basilari, coprendone dall'esterno tutte le parti in plastica. Non impiegherà più di dieci minuti, se si fornirà di un buon spruzzatore. Naturalmente, dovrà assicurarsi che nessuno la veda. Questo dovrebbe essere abbastanza facile, nella sua posizione; ma prenda comunque tutte le precauzioni del caso. E sarà tutto.»
Il dottor Proctor, con gli occhi sbarrati, tossì e sputò sulla scrivania una sorsata di alcol. Soffocando e ansando, alla fine riuscì a dire:
«Mio caro signore! Di che cosa diavolo sta parlando? Cosa c'è in quel recipiente? Perché dovrei fare una cosa tanto incredibile?»
Mundin disse, con calma:
«Risponderò alle sue domande con ordine. Sto parlando di centomila dollari. Ciò che si trova in questo recipiente è qualcosa che vale centomila dollari. Lei deve farlo a causa dei centomila dollari.»
Il dottor Proctor si asciugò la bocca con il dorso della mano, quasi ammutolito.
«Ma... ma... se lei mi assicura che il liquido è completamente innocuo...»
«Non farò niente di simile! Da dove vengo io, per centomila dollari si possono fare tutti i danni possibili.» Mundin sorrise, gelidamente. «Andiamo, dottore. Pensi ai centomila dollari! Pensi al significato ecologico e all'eccitante morfologia. E poi firmi questa ricevuta, e poi prenda l'assegno.»
Il dottor Proctor guardò l'assegno:
«È postdatato di un mese,» disse, con voce tremante.
Mundin si strinse nelle spalle, e cominciò a richiudere la valigetta.
«Be', se adesso si mette a fare dei cavilli...»
Il dottor Proctor afferrò l'assegno. Scarabocchiò il proprio nome sulla ricevuta e, con un movimento rapido e furtivo, infilò la scatoletta in un cassetto della scrivania.
A bordo dell'elicottero, Mundin e Bligh si guardarono.
«Tutto come previsto, Charles,» disse Norvie Bligh, gravemente.
L'avvocato scosse il capo, sbalordito.
«Sì, Norvie. Tutto come previsto.»
Ritornarono nei locali dello studio Ryan & Mundin, Avvocati, prima dell'orario di chiusura. E Norvie Bligh si era appena seduto, quando Mishal venne a cercarlo, annunciandogli che un visitatore era in attesa di essere ricevuto.
«Fallo entrare, Mike,» ordinò Norvie all'Am-Arabo. «No, aspetta un momento. Gli vado incontro io.»
Norvie uscì raggiante nell'anticamera.
«Arnie!» esclamò, entusiasta. «Entra, entra, entra!» prese per il gomito Arnie, pilotandolo attraverso i corridoi, intorno agli angoli, attraverso i laboratori e le sale di ricreazione, chiacchierando amabilmente, e ignorando gli occhi di Arnie, che parevano sul punto di schizzargli fuori dalle orbite. C'era una strada più breve; ma non permetteva di attraversare i laboratori e le sale di ricreazione.
«Birra, Arnie?» domandò Norvell, quando furono entrambi nel suo ufficio. Premette un bottone; la signorina Prawn entrò, e girò il disco, ordinando la birra per loro. «Non quelle sedie, per favore; qualcosa di più comodo.» La signorina Prawn girò il disco, e due enormi poltrone a braccioli uscirono obbedienti dalla parete.
Arnie disse, trangugiando la birra con visibile difficoltà:
«Immagino che tu sappia che ho fatto molto, per te.»
«Oh, no, Arnie! Ti prego! Cosa vuoi dire?»
Arnie si strinse nelle spalle, guardandosi intorno, senza parlare, sbalordito da quell'enorme locale.
«Oh, non preoccuparti, Norvie... non te ne faccio una colpa,» disse. «Dopotutto, è l'amicizia quella che conta realmente. Come diciamo Noi Ingegneri, 'Tu sostieni i miei trasformatori, e io sosterrò i tuoi'.» Posò il bicchiere. «E quando mi hai chiesto, da amico di procurarti i numeri e le ubicazioni delle unità G.M.L., be', naturalmente l'ho fatto. Anche se, confesso, non mi sarei mai aspettato,» il suo tono si era fatto cupo, «Di suscitare un tumulto così ridicolo, per dei documenti assolutamente banali. La segretezza industriale che ostacola un abile tecnico significa inefficienza, e l'inefficienza è un crimine. Comunque, per te e per Charles Mundin sono sempre disposto a fare qualsiasi cosa.»
«Non mi sarei mai aspettato che incontrassi delle difficoltà!» mentì Norvie. «Ma hai i microfilm?»
Arnie inarcò un sopracciglio.
«Naturalmente Norvell. Tutti microfilmati. Li ho qui. Ma...»
«Vediamoli,» disse Norvell, audacemente.
Finalmente riuscì a mettere le mani sui microfilm, ed esaminò gli indici allegati. C'era tutto, su quelle pellicole... una vera provvidenza. Numeri di serie. Date. Ubicazioni. Storia completa della manutenzione.
«Arnie,» disse, gentilmente, «Vorresti alzarti in piedi, per favore?»
L'ingegnere corrugò la fronte.
«Cosa succede?» Si alzò.
Norvell Bligh lasciò cadere i microfilm in un cassetto della scrivania. Disse:
«Arnie, non mi hai procurato questi dati per farmi un favore. Li hai portati sperando, grazie a essi, di ottenere un lavoro migliore.»
Arnie arrossì, e disse, severamente:
«Norvell, un amico non fa...»
«Silenzio, Arnie. Ricordi quello che hai detto sul 'collaudo distruttivo', o qualcosa del genere, l'altro giorno?» domandò Bligh. «Bene, tentiamo lo stesso metodo.»
Si fece avanti. Nei tre minuti che seguirono, egli riportò numerosi lividi sul viso e sulle spalle, ma alla fine dei tre minuti Arnie era sul pavimento, e perdeva sangue dal naso, mentre Norvell era ancora in piedi.
«Arrivederci, Arnie,» disse, gioiosamente, premendo il pulsante che chiamava la guida. «Mishal ti accompagnerà all'uscita.»
Poi andò nel laboratorio chimico che si trovava dietro una serie di porte chiuse ermeticamente, e gettò le pellicole sulla scrivania alla quale era seduto Mundin, intento a osservare il fluire di un liquido attraverso dei tubi trasparenti. Mundin prese i microfilm, nervosamente:
«Tieni lontano queste pellicole da quella roba, per l'amor di Dio!» esclamò.
Norvell sogghignò.
«Immagino sia più prudente,» ammise. «Se rovinassimo questi microfilm, faticheremmo a ottenere delle copie da Arnie. Ne ho fatto polpette.»
Si trattava di una considerevole esagerazione; ma, in quelle circostanze, era perdonabile.
Mundin, aggrappandosi nervosamente ai braccioli del suo sedile, domandò:
«Norvell, sei sicuro di riuscire a pilotare questo ordigno? Dopotutto, è molto più grande di quelli che la Generale Ricreativa...»
Norvie Bligh disse, brevemente:
«Non si preoccupi.» L'elicottero partì rapidissimo dal terrazzo di atterraggio, tuffandosi nella notte. Apparentemente pervaso da una pura gioia di vivere, Norvie sorvolò il più vicino edificio, passando a pochi centimetri dalla sua sommità, prima di fissare la loro rotta, facendo dirigere l'elicottero verso Coshocton nell'Ohio.
Si voltò, allegramente, seduto sul sedile di pilotaggio.
«Be', ci siamo. Facciamo una partita a carte? È un viaggio lungo.»
Mundin scosse il capo.
«Mi sento un po' nervoso,» ammise.
«Oh, andrà tutto benissimo,» disse Norvie, in tono rassicurante.
L'ometto era notevolmente cambiato, nelle ultime settimane. Ora Mundin sperava soltanto che il Nuovo Norvell Bligh fosse davvero capace di pilotare un elicottero, come aveva dichiarato, almeno quanto bastava per sbrigare il lavoro previsto per quella notte.
Apparentemente, tutto procedeva nel migliore dei modi. Ryan, riempito fino alla punta dei capelli di nuove e costosissime droghe, parlava e camminava come un uomo, anche se, prima o poi, sarebbe sopraggiunto inevitabilmente il collasso. Per il momento, però, il vecchio avvocato era felice e contento; e, cosa ancora più importante, pareva tenere sotto controllo i Lavin. Norma Lavin stava addirittura collaborando, entro certi limiti; e Don stava recuperando i mesi di passività, suscitando un finimondo ovunque andava. Comunque, era sempre presente, quando c'era bisogno di lui; Norma pensava a questo, personalmente.
E i tre soci segreti... Hubble, Coett e Nelson... si erano complimentati con Mundin, per il modo in cui il giovane avvocato stava spendendo il loro denaro. Nel corso dell'ultima riunione Hubble aveva dichiarato di essere preoccupato solo per una cosa.
«Avanti, dica pure, Bliss,» aveva sorriso Mundin. «Noi cercheremo di sistemare la faccenda, come al solito; può contarci.»
«Oh, non si tratta del suo settore, Charles,» disse Hubble, lentamente. «In realtà, si tratta del nostro... qualcosa che ci riguarda direttamente. Non riusciamo a raggiungere Green, Charlesworth.»
Coett aggrottò la fronte; Hubble si rivolse a lui, con aria di ammonimento.
«Senti, Harry, non ricominciamo con le solite storie. Come possiamo pretendere che Charles conduca la faccenda in maniera intelligente, se gli teniamo nascosti i particolari essenziali?»
Green, Charlesworth, pensò Mundin. Ancora.
«Che cosa mi sta tenendo nascosto, Bliss? domandò.
Hubble si strinse nelle spalle.
«Si tratta di una situazione abbastanza anormale, Charles, ecco tutto. Noi tre, apparentemente, non riusciamo a entrare in contatto con Green, Charlesworth. Oh, stiamo facendo affari con loro. Ma non si tratta, vede, di una comunicazione vera e propria.»